Un calabrese alla guida dell’Associazione italiana per l’intelligenza artificiale. È Gianluigi Greco, docente dell’Unical che pochi giorni fa è stato eletto presidente dell’associazione che dal 1988 riunisce tutta la comunità scientifica che in Italia si occupa di intelligenza artificiale. Più di mille soci, dei quali circa il 60% formato da rappresentanti del mondo accademico, il resto da grandi imprese che lavorano nel settore. Un bel risultato che premia la ventennale attività di ricerca del professore, che gli è già valsa diversi riconoscimenti anche in ambito internazionale, e che dà lustro alla nostra regione e alla stessa Università di Arcavacata, dove Greco dirige dal 2018 il Dipartimento di Matematica e Informatica.  

Professore, un’elezione che arriva dopo una lunga attività di ricerca nel campo dell’intelligenza artificiale. Ci spiega di cosa si è occupato?
«Mi sono occupato di varie tecniche nel corso degli anni. Il mio filone principale è quello che viene chiamato dell’intelligenza artificiale simbolica, cioè di tecniche di rappresentazione della conoscenza per generare algoritmi in grado di ragionare automaticamente e interagire con altri agenti intelligenti per realizzare delle strutture complesse che possano simulare delle caratteristiche umane. Oggi a queste si affiancano attività che vengono chiamate dal mondo della ricerca subsimboliche: parliamo del “deep learning”; si tratta di tecniche per l’analisi dei dati e l’estrazione di conoscenza da questi dati, per migliorare ad esempio la nostra capacità di previsione sulla base di elementi storici».

Lei si occupa anche di trasferimento tecnologico, curando all’Unical le partnership con aziende per mettere in pratica i risultati delle ricerche. Si tratta di un aspetto molto importante…
«L’intelligenza artificiale ha avuto nel corso degli anni tante primavere e tanti inverni, oggi siamo in una nuova primavera e ciò proprio grazie alle notevoli applicazioni industriali che consente di avere. In passato c’è stato un grande entusiasmo intorno all’intelligenza artificiale, ma è terminato in breve tempo perché era difficile trasferire le conoscenze alle aziende. Ecco, oggi per non ripercorrere gli errori del passato è necessario che i ricercatori abbiano un occhio attento alle ricadute delle proprie attività e cerchino di capire quale possa essere l’impatto di queste attività».

A che punto è l’Italia nel campo della ricerca sull’intelligenza artificiale e anche in termini di sbocchi concreti?
«Dal punto di vista della ricerca l’Italia è messa molto bene. Storicamente il nostro è un Paese che traina attività importanti. Siamo collocati all’ottavo-nono posto in ambito internazionale per quanto riguarda la produzione scientifica e le citazioni, il gruppo nazionale ha una forte visibilità ma a questo si contrappongono alcuni aspetti negativi. Innanzitutto negli anni passati in Italia si è investito poco nella ricerca in generale: la spesa pubblica è la metà di quella della Germania, quella dei privati un terzo. Quindi è chiaro che il nostro sistema è meno competitivo e questa minore competitività si traduce in una minore attrattività per i giovani talenti. Noi non riusciamo a trattenere come vorremmo i nostri talenti e non riusciamo a essere attrattivi verso i talenti che dall’estero potrebbero venire in Italia: questo è uno dei nodi principali. Un altro riguarda l’applicazione delle ricerche: in intelligenza artificiale stanno investendo molto le grandi imprese. L’Osservatorio del Politecnico di Milano faceva notare che durante la pandemia e nonostante la pandemia più del 60% delle grandi imprese ha avviato almeno un progetto basato sull’intelligenza artificiale; i numeri per le piccole e medie imprese sono invece ancora lontanissimi, vuol dire che le nostre imprese non stanno investendo in competitività e stanno probabilmente perdendo un treno importante. Quindi c’è molto da fare anche in termini di formazione culturale per far capire a queste imprese le opportunità e i potenziali sviluppi che l’intelligenza artificiale avrà di qui ai prossimi anni».

Un calabrese, docente di un’università calabrese, alla guida dell’associazione che si occupa di intelligenza artificiale a livello nazionale: che impatto ha per la nostra regione?
«Personalmente è un grande onore, non era mai successo che la Calabria fosse rappresentata all’interno dell’associazione nella carica più importante. A mio avviso però è anche il segno dell’ottimo lavoro che è stato fatto negli anni: questi sono risultati che si raggiungono sulla base dei percorsi che anche chi è venuto prima di me ha portato avanti. L’ecosistema calabrese è molto vivo e la possibilità di avere dei legami in un ecosistema importante, nazionale, sono sicuro che nel medio periodo possa portare dei benefici anche indiretti alla nostra regione».

Lei dal 2018 è direttore del Dipartimento di Matematica e Informatica dell’Unical. Un dipartimento che – assieme anche ad altri di questo ateneo – ha ottenuto e continua a ottenere riconoscimenti in campo internazionale. Come si è arrivati, in una terra sicuramente difficile e con tanti limiti come la Calabria, una terra che per alcuni è addirittura un caso disperato, a creare un’eccellenza in ambiti in cui nell’immaginario collettivo la Calabria eccellenza non è?
«Il dipartimento sta investendo tantissimo in risorse umane, le persone fanno la differenza a tutti i livelli. Negli ultimi anni abbiamo portato avanti un programma di reclutamento molto focalizzato a prendere con noi ricercatori e professori di altissimo livello internazionale, quindi abbiamo puntato molto su una squadra forte e coesa. Accanto a queste eccellenze nella ricerca scientifica abbiamo un gruppo di personale tecnico-amministrativo che probabilmente fa la differenza nell’organizzazione delle attività quotidiane e riesce a creare quel giusto contatto con l’utenza finale delle nostre attività, che in gran parte sono proprio gli studenti».

Ma la Calabria è pronta a recepire queste eccellenze? Chi studia e fa ricerca qui può sperare di rimanervi per mettere a frutto le competenze acquisite?
«Soprattutto in alcuni settori noi abbiamo contezza del fatto che i giovani hanno la possibilità di restare, se hanno voglia di investire in questa terra. Il nostro obiettivo non è quello di trattenere con le catene i giovani ma di dar loro la possibilità di scegliere. In alcuni settori ci stiamo riuscendo molto bene: in informatica e anche in ingegneria informatica, per esempio, il tasso di occupazione è stabilmente al 100% a tre mesi dalla laurea. Quindi abbiamo alcuni settori in cui si lavora con certezza e si lavora anche in Calabria. Noi dobbiamo cercare di dare una formazione a tutto tondo ma che sia moderna e che vada incontro alle esigenze del nostro territorio. Io credo che si stia facendo un ottimo lavoro, le nostre statistiche globalmente stanno migliorando, i nostri corsi di laurea sono sempre più attrattivi e lo testimonia il fatto che rispetto a un generale calo di immatricolazioni avvenuto durante la pandemia l’Università della Calabria non solo ha retto ma ha addirittura migliorato la sua performance riuscendo a essere ancora più attrattiva. Io credo che con il lavoro di tutti si stia riuscendo in questa impresa di creare quelle precondizioni affinché i nostri giovani possano scegliere se restare in Calabria o fare esperienza altrove».