«Il telefono squillò alle 4,40 del mattino. All’altro capo c’era una persona disperata. Un uomo che si sentiva affogare. Mi stanno arrestando, mi disse. E poi aggiunse: Mi scoppia il cuore. Era Enzo Tortora. E quello era solo l’inizio». Ripercorrendo la drammatica notte della cattura del popolare giornalista e conduttore televisivo, la voce di Raffaele Della Valle ancora trema, rotta dalla commozione.

Inchiesta demenziale

Ma il libro scritto dall’avvocato penalista in occasione del quarantesimo anniversario della cattura del presentatore di Portobello, datata 17 giugno 1983, non è solo il racconto di una vicenda umana straziante, ribattezzata da Giorgio Bocca come il più grande esempio di macelleria giudiziaria del nostro Paese. È un monito, una pagina nera da tenere sempre ben presente per evitare che qualche altro «Maradona del diritto», così Della Valle ribattezza gli inquirenti che «con il loro divismo» trascinarono pure l’opinione pubblica a tifare per la condanna e non per la verità, possa mettere in piedi un’inchiesta così «demenziale».

Quando l'Italia perse la faccia

Scritto con il giornalista Francesco Kostner, edito da Pellegrini, Quando l'Italia perse la faccia - L'orrore giudiziario che travolse Enzo Tortora, questo il titolo del volume, viene in questi giorni presentato in Calabria con una serie di appuntamenti in calendari nel vibonese e nella provincia di Cosenza. Anche a Marano Principato nell’ambito di un ciclo di appuntamenti promossi dall’amministrazione comunale nel centro di aggregazione giovanile Cesare Baccelli. L’iniziativa, introdotta dal sindaco Giuseppe Salerno e dall’assessore alla cultura Lia Molinaro, ha registrato la partecipazione, oltre a quella degli autori, del sindacalista Roberto Castagna, del dirigente scolastico Mariella Chiappetta e dell’avvocato Cristian Bosco, consigliere di Marano Principato delegato all’istruzione.

Non è un libro della vendetta

«Non è un libro dell’odio o della vendetta – ha detto Raffaele Della Valle – Vorrei che da queste pagine possa invece trasparire una speranza, che ricongiunga il passato con il presente e con il futuro. Qui è nata la civiltà, anche la civiltà del diritto. E questa civiltà noi l’abbiamo esportata. E però questo non ci ha impedito di perdere la faccia, ben prima del caso Tortora. Il primo sfregio alla verità si ebbe quando il popolo scelse di crocifiggere Gesù e non Barabba. E in tempi più recenti, meno di un secolo fa, vi furono magistrati che senza remore applicarono le leggi razziali. Ma nella vicenda di Tortora è importante tenere a mente che nel 1983 i magistrati operavano in uno stato di diritto nel quale la presunzione di innocenza era già costituzionalmente garantita. E quella presunzione di innocenza è stata calpestata. E questo aspetto deve essere ribadito soprattutto ai giovani».

Dato in pasto alla folla

Accusato di essere affiliato alla nuova camorra organizzata di Raffaele Cutolo e di avere svolto un ruolo di primo piano nel traffico di droga gestito dall'organizzazione criminale napoletana, Enzo Tortora venne arrestato dopo che il suo nome spuntò casualmente, trascritto su un’agendina sequestrata a margine di una perquisizione a casa di un altro camorrista, Giuseppe Puca. In realtà il nome riportato, scritto a mano con grafia incerta, era quello di Enzo Tortosa. Nessuno però pensò di verificare l’effettiva appartenenza al Tortosa e non al Tortora, di quel numero di telefono. «Il particolare fu però sufficiente per indurre un pluriomicida come Pasquale Barra e poi Giovanni Pandico e Giovanni Melluso a coinvolgere anche Tortora nel maxi-blitz del 17 giugno 1983. Rimase in caserma fino alle 12,30 – ricorda Della Valle – Poi venne tradotto a Regina Coeli, ma inspiegabilmente il furgone si fermò a 50 metri dall’androne di ingresso. E Tortora dovette scendere con le manette ed affrontare a piedi una truculenta e nevrotica folla. Quella stessa folla che lo aveva applaudito e che ora lo insultava e sputava. Sembrava la scena di Piazzale Loreto».

L'equilibrio delle parti processuali

L’esito della vicenda è noto: dopo la condanna in primo grado Tortora venne completamente prosciolto nei due successivi gradi di giudizio. Ma ormai la sua esistenza era profondamente segnata: morì nel 1988 a soli 60 anni. Raffaele Della Valle nel 1994 ricoprì per una legislatura anche le funzioni di parlamentare. Oggi la sua battaglia si concentra sulla separazione delle carriere: «La madre di tutte le riforme – dice – Immaginate un ring. Sul quadrato combattono due pugili. Ma uno dei due appartiene alla stessa categoria dell’arbitro. Nel processo si verifica una situazione analoga in cui non è garantito l’equilibrio delle parti. Giudici e pubblici ministeri devono essere posti in ranghi separati ognuno con il proprio consiglio superiore della magistratura e con la propria carriera. Solo così il giudice verrebbe a trovarsi nella condizione di essere veramente terzo e la battaglia in aula potrà essere svolta in un contesto di piena parità».