La comunicazione del Procuratore antimafia più popolare d’Italia che non ha bisogno di piacere a tutti. L'intervista esclusiva a Link su LaC Tv
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Guerriglia urbana in bianco e nero. Interno auto. Un manager viene distratto dalla lettura del quotidiano – rigorosamente cartaceo – e guarda fuori dal finestrino: manifestanti con maschere di animali urlano e bloccano la strada. Le forze dell’ordine rispondono con percosse, fumogeni e colpi di manganello, fino a quando si abbatte un rimostrante con una maschera da coniglio sul cofano dell’automobile. Manager e rimostrante si guardano negli occhi, poi un agente lo afferra. Si divincola, riesce a scappare, ma perde una scarpa sul cofano. Stacco. Siamo nel pieno della più classica cena in famiglia. Quella del manager. Il figlio spinge a terra il quotidiano poggiato sulla tavola. L’uomo si china a raccoglierlo e scopre il piede nudo della figlia, accanto alla prova della ribellione: l’altra scarpa. Si guardano ancora, gli occhi carichi di sfida.
Sessanta secondi di pubblicità per arrivare al payoff: “Si odia. O si ama”.
Superga aveva scelto questa narrazione per lanciare il proprio brand con le iconiche le sneakers di cotone: un concept per sottolineare l’importanza di prendere una posizione. Non sono ammesse vie di mezzo: o si ama o si odia.
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Due archetipi narrativi che raccontano l’eroe e la sua ombra. L’eroe è la ragazza che protesta per quella che immaginiamo essere una buona causa, mentre il padre è l’ombra (forse stava protestando proprio contro l’azienda paterna?). O invece l’eroe è il padre, manager che lavora senza tregua, mentre l’ombra è la figlia, che protesta alle sue spalle?
Era la metà degli anni Novanta, l’ambiguità lasciava carta bianca. A tal punto che lo spot è andato incontro a censure: la Rai si è rifiutata di trasmetterlo.
Grande operazione di comunicazione, la messa in scena di una contrapposizione nella quale il pubblico poteva riconoscersi, parteggiando per il padre o per la figlia. La rivoluzione del brand Superga è stata la presa di posizione: non possiamo piacere a tutti, ma non dobbiamo pensare di aver bisogno di piacere a tutti, anzi. Più ci distinguiamo, senza paura di alienare una fetta di pubblico, più il messaggio risulta forte e convincente per il nostro target di riferimento, a cui piacciamo davvero. Senza se e senza ma.
Quando penso alle scelte di vita, alla popolarità e alla forza comunicativa di Nicola Gratteri mi torna in mente quella scarpa, quella contrapposizione, quella guerriglia urbana. E quel payoff: si ama o si odia.
Il Procuratore di Catanzaro – futuro Procuratore di Napoli? O Procuratore generale di Roma? O…? – non è uomo dalle mezze misure. Si ama. O si odia. Da sempre, per mille ragioni davvero difficili da spiegare.
Non ha bisogno di piacere a tutti, Gratteri. Ma ha bisogno di non smettere mai di dire ciò che pensa. Anche quando ciò che pensa è impopolare, è controcorrente. Ed è dannoso per lui, prima che per chi preferirebbe il suo silenzio. Lo sa bene, il magistrato più popolare d’Italia, il moltiplicatore di ascolti in tutte le trasmissioni che lo ospitano, che gli converrebbe stare zitto. Soprattutto quando stanno per arrivare le nomine dei nuovi procuratori. Ma è più forte di lui: guarda dritto negli occhi, o nella telecamera, e dice la sua. Spiega cosa non tollera, cosa va cambiato, cosa va costruito. Che siano i costi inammissibili della macchina statale, la mancanza di personale adeguato, le intercettazioni, il carcere ostativo, la separazione delle carriere, le condizioni delle carceri, o la lotta alle mafie. E su ogni tema, dai più tecnici ai più pesanti, la sua posizione divide.
Il “caso Gratteri” anima periodicamente le pagine dei quotidiani nazionali. Ogni volta c’è chi lo sostiene e chi lo combatte. Gode della stima non solo di molti colleghi e collaboratori, ma anche di una parte della politica, della società civile, del terzo settore, dei cittadini. Ha dei veri e propri fan club, Gratteri. E molti nemici. Non solo, come è ovvio, nella criminalità organizzata – cammina con la scorta da più anni di quanti ne ha vissuti senza. Alcuni lo odiano apertamente, attaccandolo in modo ciclico. Molti lo amano visceralmente, quasi come se fosse una popstar – o una soubrette, come scherza spesso lui stesso.
Chi lo ama lo vorrebbe sempre più forte e determinato non solo nella lotta alle mafie, ma anche in altri settori, a partire da quello della politica e delle istituzioni. Chi lo odia e lo vorrebbe cancellare lo fa periodicamente – o almeno ci prova – narrando di una sua imminente sconfitta, il suo essere ormai finito, privo di consenso, osteggiato dai suoi stessi colleghi, sulla via del tramonto. La storia ci racconta quanto sia difficile cancellare la sua azione, la sua forza, la sua popolarità.
Eppure i suoi detrattori sono sempre in movimento. Da qualche tempo in modo ancora più pesante, soprattutto in Calabria: a maggio 2024 finirà il suo mandato alla procura di Catanzaro. Vorrebbe rimanere, ma la legge non glielo consente: gli otto anni di due mandati consecutivi sono il massimo permesso. E sono, appunto, in scadenza. La domanda è sempre più frequente: dove andrà? Ma soprattutto: cosa succederà alle indagini in corso?
Ci ha risposto come sempre: diretto e senza allusioni. Il lavoro non si fermerà, ha avviato così tante indagini che chi prenderà il suo posto potrà lavorare per almeno quattro anni continuando a portare risultati. E se chi arriverà a Catanzaro non fosse esattamente in linea con lui? Niente panico: le cose sono strutturate in modo tale da non poter essere bloccate. Perché Gratteri è così: o si odia, o si ama.
Questa sera l'intervista esclusiva al procuratore Gratteri a Link. Alle 21:00 su LaC Tv, canale 11 del digitale terrestre, 411 TivuSat e 820 Sky. Anche in streaming su www.lacplay.it