Il mestiere del giornalista ha, tra i suoi comandamenti, la missione di voler giungere alla verità e all’aderenza ai fatti, elementi fondamentali per svolgere il proprio compito quotidianamente in piena fiducia con il lettore.

Il settore, chiaramente, è cambiato radicalmente nel corso degli anni. Quanti scrivono da un po’ di tempo possono riempire metaforicamente una stanza di aneddoti, situazioni e modi di svolgere il lavoro che sembrano lontanissimi rispetto ai tempi attuali.

Essendo un campo in continua evoluzione e pronto a un confronto interno, tutto sommato, balza all’attenzione un elemento senza dubbio meritevole di una maggiore attenzione. Il tutto parte da un elenco reso pubblico ai giornalisti della regione, per le operazioni di voto al consiglio dell’Odg della Calabria, che quanto meno fa riflettere e sicuramente pone delle analisi per il prossimo futuro.

Guardando l’elenco dei giornalisti pubblicisti, spicca una sostanziale differenza nei numeri degli iscritti per alcune fasce d’età. Le nuove generazioni, infatti, sono refrattarie al conseguimento di un tesserino da giornalista, che consentirebbe di svolgere questo compito con diritti, doveri e riconoscimenti di uno status ufficiale.

Il giornalista pubblicista ricordiamolo, per legge, può esercitare i propri compiti per una testata registrata e, contemporaneamente, svolgere anche uno o più lavori, lavorando nel mondo della comunicazione sempre con correttezza, impegno e ingegno.

I dati, crollo di iscritti tra i trentenni

L’anagrafica ha suo peso, considerando come la fascia degli anni Sessanta ha una media che si attesta intorno alle cinquanta unità, un dato che aumenta decisamente per i pubblicisti nati nella decade degli anni Settanta con una media di 73 iscritti per anno.

Il calcolo comincia a diminuire per quanti sono nati negli anni Ottanta: nella prima parte abbiamo a sorpresa una media di ben 81 pubblicisti, e un boom proprio nel 1981 con 91 unità (come il 1977), calando nettamente già a cinquanta persone di media per gli anni dal 1985 al 1989.

Gli anni Novanta mostrano un netto calo, dal 1994 in poi i pubblicisti si contano su poche unità: si va dai tre colleghi classe 1994 ai sei del 1996, tra i millennial c’è un solo iscritto classe 2001.

A cosa attribuire tutto ciò? Sicuramente non è così facile trovare una giusta ricetta per evidenziare questa situazione, le generazioni cambiano e, nel caso del giornalismo, forse alcune sono state costrette a crescere troppo in fretta.

Il settore resta frenetico, coinvolgente… ma poco “bazzicato” da giovani e giovanissimi, nonostante il proliferare dei corsi di comunicazione, della maggior facilità – tutto sommato – di esprimere le proprie idee e far valere le opinioni, nonché di agire in completa autonomia nel corso di una giornata.

Non aiuta una certa predisposizione di alcuni media che hanno preferito la bellezza alla competenza, permettendo a quanti/e non avevano una qualifica di condurre programmi di informazione, ma non aiuta probabilmente nemmeno l’uso smodato dei social, che consente sempre più di diventare “notizia”, piuttosto che raccontare la stessa news nel modo più oggettivo possibile.

Non promuove il ricambio generazionale nemmeno quella sorta di “caccia alle streghe” che spesso è fomentata in alcuni territori, in cui il cronista ha il solo “torto” di raccontare la verità, senza patteggiare per una corrente, senza essere un campanilista o un edulcorante di cronaca a tutti i costi, ben ricordando come il cronista analizza i fatti dopo averli accertati con un lavoro scrupoloso di ricerca.

Forse la differenza sta tutto qua o forse no, la varietà di opinioni in ciò è ovviamente ben accetta. Il percorso professionale di quanti hanno un tesserino è ricco di sofferenze, gavetta e di un amore verso il mestiere straordinario. A costo di sembrare boomer, spesso emerge la nostalgia tempi del pagamento a quattro centesimi a rigo (accadde anche questo negli anni Duemila, ebbene sì), dell’inviare, un fax al numero verde della redazione o di consegnare direttamente a mano il pezzo scritto con la Olivetti portatile. È la stampa, bellezza.