Dopo circa 10 anni nella cittadina tirrenica e 4 precedenti nella vicina Maierà, va via, torna nel suo paese d'origine: «Voglio diffondere cultura per rendere libera la mia gente. Perché senza cultura non c’è libertà»
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Don Eugenio Hounglonou, giovane prete del Benin è un sacerdote speciale, uno di quelli di cui avrebbe bisogno la Chiesa in ogni parrocchia, in ogni città. Un sorriso contagioso, una straordinaria letizia dal profumo francescano. È portatore sano di felicità. Capace di penetrare nel cuore e nella testa di ogni persona, di ogni credente. Ma anche, e qui sta tutta la sua anomalia, nel cuore e nella testa dei non credenti. Don Eugenio in queste settimane sta facendo letteralmente piangere la comunità cattolica di Diamante, sull’Alto Tirreno cosentino.
Tutti sconfortati dall’addio di don Eugenio: torna in Benin, stato dell’Africa occidentale, il suo vescovo ha bisogno di lui. Dopo circa 10 anni a Diamante e i 4 anni precedenti nella vicina Maierà, va via, torna fra la sua gente. Incontro don Eugenio alla vigilia della sua partenza per il Benin. Mi incuriosiscono tante cose di lui. Come ha fatto a conquistare le comunità di Maierà e Diamante? Perché c’è la fila al suo confessionale (è necessario perfino prenotare per tempo, per evitare lunghe attese)? Perché la sua chiesa è sempre piena di fedeli? Come mai lo seguono e ammirano perfino i non credenti e tanti giovani? So anche che le sue confessioni non sono una pratica burocratica da sbrigare in pochi minuti, ma un lungo e intenso dialogo, un confronto, una condivisione di storie di vita che può durare anche un’ora. Non appena lo incontro mi travolge con il suo entusiasmo, ma comunque con tanta umiltà e timidezza, ha un sorriso infinito, mentre la sua gioia ti prende e ti conquista immediatamente. «Io non so perché accade tutto questo, io sono fatto così, la gente mi vuole bene, ma io non faccio nulla di particolare», dice Don Eugenio, quasi impacciato nel sentirsi dire che la gente lo ama, che gli vuole bene, che lo segue, che ha conquistato le anime di migliaia di persone. E che ora tutti piangono perché non vogliono che vada via.
Un fenomeno che è cresciuto lentamente e si è sviluppato negli anni. Don Eugenio non chiede mai di andare in chiesa, semmai è lui che va a trovare la gente a casa, e c’è la gara ad invitarlo a pranzo. Ogni giorno una casa diversa, ogni giorno un appuntamento diverso. Ed è sempre un lungo momento conviviale all’insegna dell’allegria: arriva a durare alcune ore! Ma cosa vuole la gente da lui? Cosa pretende? «Nulla, io ascolto, io racconto la mia fede, ascolto i problemi degli altri, consiglio, e poi fanno tutto loro, io non ho nulla di particolare da dare. Sono un semplice parroco». Ma vogliamo far finta di non vedere che è un prete di colore e che questo potrebbe essere stato per lui un problema? «Assolutamente! Io non ho mai vissuto un solo episodio di diffidenza o di razzismo. Nessuno ha mai parlato del colore della mia pelle, perché io sono sempre andato dagli altri con il cuore in mano e con il sorriso sulle labbra. Qui la gente è buona e sincera, tutti mi hanno accolto con grande affetto e generosità».
In 10 anni la comunità parrocchiale del Buon Pastore di Diamante è cresciuta molto, le Messe sempre più seguite, le attività sociali sempre più importanti. E quando era il momento della benedizione delle case nel periodo di Pasqua, don Eugenio non riusciva a terminare la visita a tutte le famiglie prima di giugno! Anche in questo caso non si trattava di evadere frettolosamente una pratica burocratica, ma il tutto si trasformava in un incontro di fede e di conoscenza. Con tutto il tempo che serviva per capire e per sapere. Dieci anni a Diamante, e prima quattro anni a Maierà, don Eugenio ha sempre avuto ottimi rapporti con il clero locale, con l’altro parroco don Michele Coppolla e soprattutto con il Vescovo Mons. Bonanno. Quanto tempo è passato dal suo arrivo. E come è cresciuto questo prete africano colto e umile. In Vaticano ha studiato Teologia, Sociologia e Antropologia.
Conoscitore della Bibbia, attento osservatore dei fenomeni sociali e culturali italiani. Ma quando è arrivato la prima volta in Calabria, in Chiesa c’era una sola signora ad attendere la celebrazione della messa. I primi giorni era molto preoccupato, impacciato: «volevo scappare via, non mi sentivo adeguato, non all’altezza». Quanto tempo è passato… oggi don Eugenio è stretto da un enorme abbraccio della sua comunità. Un abbraccio che lo blocca, quasi a voler scongiurare la sua partenza. «Ciao Franco, mi hai dato tanto onore a venire qui oggi. Vorrei solo chiedere a voi tutti di aiutarci a far diffondere la cultura e la conoscenza in Africa. Torno nel Benin, voglio diffondere cultura per rendere libera la mia gente. Perché senza cultura non c’è libertà».