Don Antonio Acri, 30 anni, sacerdote dal 19 giugno 2020. Parroco delle parrocchie di S. Andrea e dello Spirito Santo in San Pietro in Guarano (Cosenza) è giornalista pubblicista dal 2016. Tra i vari impegni pastorali è stato vice parroco di San Nicola a Cosenza e parroco a San Giovanni in Fiore.

Nel dicembre 2024 ha pubblicato “Fede e sacramentalità del matrimonio. Approcci teologici, canonistici e pastorali” per i tipi della Tau Editrice. Con il giovane sacerdote abbiamo parlato di questo difficile momento per Papa Francesco.

Don Antonio, cosa pensa un giovane prete in questo momento difficile per il papa?
Papa Francesco è un uomo di 88 anni, clinicamente non messo bene per via della sua anamnesi, ma ciò che mi fa ben sperare e che è, come gli stesso ha detto, attenzionato da un pool medico d’eccellenza, come quello del policlinico Gemelli sin dal primo istante. Percepisco un senso di assoluto smarrimento, ma l’arma di tutti i cristiani, e di quanti amiamo il Santo Padre è la preghiera. Preghiera per lui, ma anche per i medici, perché lo Spirito Santo li illumini nel loro operato.

Cosa ha apprezzato in questo papa così diverso, così autentico, che ha riportato nella chiesa i principi del cristianesimo?
Papa Francesco ha raggiunto un obiettivo importante: quello di far conoscere un Dio che si è fatto uomo proprio come noi… Un Dio più vicino a noi… E lo ha fatto attraverso il suo magistero, ma soprattutto attraverso il suo modo di agire, il suo modo di porsi, lo ha fatto essendo il più possibile più vicino agli uomini.
Soprattutto ci ha fatto riscoprire un Dio che è Misericordia, che non accusa nessuno, non giudica nessuno, non ha preconcetti su nessuno. Non dona agli uomini una, due, tre possibilità ma un’infinità di possibilità… Da sacerdote tante volte ho toccato con mano la gioia di sentirsi “misericordiati” (per usare un neologismo coniato da lui) da Dio. Dio è sempre stato Misericordia ma il Papa giusto, nel momento giusto della storia ce lo ha fatto conoscere sotto questo aspetto ancor di più.

Francesco ha reso il papa più umano, lo ha fatto scendere dal trono, ha abbracciato gli ultimi, e oserei dire: si è fatto uomo! E per questo è stato contestato anche dall’interno della chiesa.
Beh, anche nella Chiesa esiste la piaga del carrierismo! Chi fa dei troni e del potere la ragione della sua vita non può accettare tutto questo…Anche un parroco, un vescovo può sentirsi padrone del suo popolo… portando poi le anime a sé e non a Dio! Papa Bergoglio ancora una volta attraverso i suoi gesti ci ha riportati a ciò che ci dice la Scrittura: che il ministero a noi donato nell’ordine sacro è servizio. Nel vero senso della parola.

Il suo pontificato ha affrontato anni difficilissimi: il dramma delle guerre, la pandemia, la tragica storia degli immigrati e dei barconi affondati nel Mediterraneo. Lui non si è mai tirato indietro. È sempre sceso in prima linea.
L’immagine più importante del suo pontificato, resterà quella del 27 marzo 2020, in piena pandemia, quando un uomo vestito di bianco da solo attraversava Piazza San Pietro per pregare il Signore perché liberasse il mondo dalla pandemia. Un uomo solo, un uomo che nonostante tutto si è donato per la Chiesa, sin dall’inizio del suo pontificato. Ancora nell’ultimo Angelus, quello di ieri, il Papa prega per la pace nel mondo, è quasi come se fosse un leitmotiv.

Dall’inizio della guerra in Ucraina non c’è stato intervento nel quale egli non abbia ricordato le vittime che in questo triennio, la guerra ha mietuto. Un Papa che iniziò il suo pontificato proprio a Lampedusa come segno dirompente. Un uomo posto a guida della Chiesa che ha dato a tutti il segno tangibile di come sarebbe stato il suo pontificato. Un Papa oltre le righe, oserei dire, un Papa che proprio come Francesco d’Assisi ha riportato la chiesa alla genuinità del Vangelo.
Chi avrebbe mai immaginato un Papa che condividesse il pasto con i poveri? Chi avrebbe mai immaginato un Papa avrebbe costruito delle docce per i senzatetto di Piazza San Pietro? E sono solo due esempi che mi vengono in mente, ma tanti, tanti ne ha fatti di questo genere.

Quando il cardinale argentino Bergoglio è stato chiamato ‘dalla fine del mondo’ a Roma per diventare Francesco, casa faceva il giovane Antonio Acri? Cosa ha pensato in quel momento?
Il giovane seminarista aveva 19 anni e attendeva l’ elezione del Papa in una chiesa del suo paese, Mendicino (CS). Quando il cardinale protodiacono pronunciò il cognome “Bergoglio”, rimasi attonito, sbigottito, perché di lui nei giorni addietro non se n’era mai parlato e perché ricordo, già nell’elezione di Papa Benedetto XVI il cardinale Bergoglio fu uno dei papabili, per cui mi sembrava troppo anziano. Non conoscevo nulla di lui se non che Arcivescovo di Buenos Aires, ma con quel famoso “Buonasera..” dalla loggia papale, ho subito compreso che quell’uomo avrebbe riservato alla Chiesa molte sorprese.

Come vive il suo impegno di giovane parroco? In un momento in cui le chiese sono vuote e i cristiani sembrano scomparsi, cosa può fare un prete?
Viviamo in un’epoca nella quale è forte la crisi vocazionale, specialmente in Europa. In Italia, in media ogni sacerdote è parroco almeno di due parrocchie… come nel mio caso! (Al nord addirittura sei o sette, sic!) Sono parroco di due realtà molto piccole e spopolate con una tradizione religiosa che non è stata trasmessa alle nuove generazioni, è stata forte fino a 20/30 anni fa.

Personalmente, guardando a questa crisi vocazionale, ma anche a questa crisi di fede da parte degli uomini penso che la strada non sia soltanto quella di vedere il prete solo come parroco, ovviamente laddove è possibile,… (moltissimi pensano che prete e parroco siano sinonimi, ma non è così) forse la strada può essere quella di essere evangelizzatore, portatori di Cristo, in tutti gli ambienti che la società ci offre… andare oltre lo schema preconfezionato della parrocchia, ma essendo lievito che fermenta, lì dove la figura del prete è assente e non scontata: le scuole, la politica (nel senso alto), le carceri, gli ospedali, le università, le strade affollate dai poveri tutti quei luoghi che il Papa chiamerebbe periferie esistenziali.

La presenza di sacerdoti in questi ambienti non è “essere operatori sociali” ma essere missionari, con la M maiuscola. Del resto l’esempio ci viene offerto principalmente dall’America Latina, dall’Africa e già in alcune regioni del’Italia Settentrionale…zone che hanno adottato queste misure e lasciato la conduzione della pastorale parrocchiale ai diaconi permanenti o a laici formati, come i catechisti!