Piccoli battelli monoalberi perlopiù ma anche vecchi pescherecci che ormai sono diventati parte integrante del paesaggio ma in molti casi risultano così compromessi da essere irrecuperabili (ASCOLTA L'AUDIO)
Tutti gli articoli di Attualità
PHOTO
Arenati sulla battigia, incagliati tra gli scogli o sdraiati sulla sabbia dopo una mareggiata, ormai sono diventati parte integrante del paesaggio jonico.
Piccoli battelli monoalberi perlopiù ma anche vecchi pescherecci male in arnese e qualche veliero più grande: i profili delle barche utilizzate per i trasbordi di esseri umani sulla “rotta turca” – almeno quelli che bucano i controlli in mare – sono diventati merce comune sulle spiagge del versante orientale della Calabria. Dalle coste del crotonese a quelle della riviera dei Gelsomini: un cimitero di relitti lungo 200 chilometri che si aggiorna continuamene, con i nuovi arrivi che superano anche gli interventi di rimozione e demolizione di competenza dell’Agenzia delle dogane.
Ultimo in ordine di tempo, storia di una settimana fa, un veliero di circa 16 metri che dalla fine di settembre era rimasto ancorato a poche centinaia di metri dalla spiaggia di Caulonia. I migranti – 61 in quell’occasione, tutti di origine pakistana – erano stati trasferiti a bordo di una motovedetta ma, a causa delle condizioni del mare non era stato possibile trainare in natante in porto. E la barca era rimasta lì, con l’impianto fotovoltaico che ne teneva accese le luci di posizione. Almeno fino all’ultima mareggiata di scirocco che ha rotto l’ormeggio trascinando il relitto sulla spiaggia, a pochi metri dalla foce della fiumara. Immediatamente saccheggiato di tutte le apparecchiature tecniche sopravvissute al viaggio, lo scafo blu di quella che era stata una barca da sogno è attualmente “parcheggiato” sulla battigia, in attesa che le elefantiache pratiche burocratiche per lo smaltimento facciano il loro corso. A Siderno invece un veliero di una ventina di metri si era arenato lo scorso maggio.
Carico di un centinaio di disperati, aveva finito la sua corsa sbattendo contro i resti del vecchio pontile alla periferia del paese. E lì, proprio a due passi dal vecchio molo, era rimasto per tutta l’estate, fino a qualche settimana fa quando le ruspe sono intervenute per rimuoverlo. A Bovalino invece ci sono voluti nove mesi prima che i mezzi provvedessero alla rimozione. Spiaggiato a inizio febbraio, il veliero battente bandiera tedesca è stato smaltito solo agli inizi di novembre. E peggio è andato a Riace dove, pochi giorni dopo la rimozione di un relitto che per mesi era rimasto sulla spiaggia centrale del paese, si è spiaggiato un altro veliero di 16 metri, a qualche decina di metri dal posto dove 25 secoli prima erano approdati i guerrieri di bronzo. Paradossale la situazione qualche chilometro più a nord. A Monasterace infatti erano due i relitti sulla spiaggia da smaltire. E se il primo è stato rimosso dalle Agenzia per le dogane, il secondo, in seguito all’ultima mareggiata di scirocco, è stato trascinato dalle onde oltre i confini del comune, diventando così una rogna per il comune di Guardavalle, in provincia di Catanzaro.
E proprio nel capoluogo regionale, la rimozione del relitto di un peschereccio arrivato a fine agosto e poi semiaffondato davanti al porto nel mese di ottobre, aveva fatto andare su tutte le furie il sindaco Fiorita che aveva minacciato salate richieste risarcimenti nel caso il relitto avesse provocato danni allo scalo.
Barche a perdere
Quasi tutte tra i 16 e i 20 metri di lunghezza, le barche che arrivano in Calabria con il loro carico di disperati hanno in comune, oltre al fatto di essere, molto spesso, piccoli gioielli della nautica, di essere registrate, quasi tutte, nei medesimi registri nautici: in Croazia e in Montenegro. Ed è nei tanti porti della ex Jugoslavia che i trafficanti si “servono” per rimpolpare la flotta destinata alla “rotta turca”.
Progettate per essere mezzi di lusso per crociere di breve durata, sono la preda preferita delle organizzazioni criminali che si occupano della parte finale del viaggio dei migranti. Una volta rubati infatti i velieri vengono trasferiti fino alle coste della Turchia – ma ultimamente anche da quelle del Libano – prima di essere stipati all’inverosimile e indirizzati verso la Calabria. E se diversi velieri finiscono il loro viaggio sul litorale, la quasi totalità viene trainato nei porti dello Jonio dalle motovedette di capitaneria e guardia di finanza: qui, dopo essere state tirate in secca, vengono ciclicamente distrutte per fare posto ai nuovi arrivi. Solo una piccolissima parte di queste imbarcazioni torna in circolazione, il resto finisce inevitabilmente in discarica. Un po’ perché, dopo essere stati riempiti con un centinaio di esseri umani costretti lungo il viaggio a rimanere sempre sotto coperta, i velieri risultano così compromessi da essere irrecuperabili. E un po’ perché le procedure per la riassegnazione, così come per tanti altri beni confiscati e in attesa di nuovo utilizzo per usi sociali, restano complicate.
In un paio di casi poi, è successo che l’imbarcazione già assegnata sia stata restituita visti che gli alti costi di gestione del mezzo, a cominciare da quelli per l’ormeggio in porto, risultavano fuori dalla portata delle organizzazioni che le avevano richieste.