Dopo due mesi si torna a ballare. La voglia di tornare in pista è tanta, ma molte sono pure le incognite. A Roma sulla Prenestina si ricomincia subito, mentre a Rende si attenderà marzo per vedere che aria tira (ASCOLTA L'AUDIO)
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Si torna in pista. Riaprono discoteche e club e si riaccendono le luci sul settore più intermittente tra i penalizzati dalla pandemia, spento ormai da metà dicembre. Ma nel mondo della notte restano tante ombre tra regole contraddittorie (mascherina obbligatoria in ogni spazio eccetto che in pista) e norme che potrebbero cambiare da un momento all’altro - questo il timore più grande dei gestori - come accaduto a Natale quando un decreto ha interrotto la musica dopo che il governo aveva assicurato il capodanno.
In realtà questa riapertura differisce dalle precedenti poiché quello che terminerà a momenti non è un lockdown vero è proprio, piuttosto un lockdown mascherato: su alcune attività non sono mai stati posti sigilli, come nelle chiusure precedenti, ma le condizioni – unite «una comunicazione mediatica allarmante - sono state inconciliabili con socialità ed economia - tra tutte il divieto di somministrare alcol durante i live i cui costi si abbattono al bar (a dirla tutta, poi, in molti escono proprio per bere) - che alla fine i clubbers il coprifuoco se lo sono imposti da soli.
A Largo Venue tutto pronto per cantare “Ciao Ciao Covid”
A Largo Venue, ex fabbrica di bombole riconvertita in mecca di musica e cultura indipendente che richiama sulla Prenestina adepti da ogni dove, i cancelli in realtà sono rimasti sempre aperti per precisa scelta politica: «tenere unita la comunità» - ci spiega l’assistente di produzione nonché direttore artistico del venerdì queer Paco Nazim (alter ego di Francesco Mirabelli, cosentino di Roma est) – perché a livello di introiti «è stato un bagno di sangue». Troppe regole, troppa paura. Una scelta poco onesta, o quanto meno furba, non dichiarare lockdown, perché «prima si chiudeva e si garantivano ristori invece così non si è di fatto lavorato pur restando aperti. Ho avuto l’impressione che queste regole siano state fatte da chi non conosce minimamente questo mondo».
Un mondo che è intrattenimento per i fruitori ma un’industria fatta di persone che vi lavorano poco, o per nulla, tutelate: «Alcuni hanno avuto la cassa integrazione in deroga ma chi aveva la partita Iva, come me, stavolta non ha avuto niente». A questo si aggiunge la difficoltà di rivenire maestranze riconvertitesi nel mentre in altri settori: «Si fa fatica a trovare barman ma soprattutto tecnici audio e luci perché negli ultimi due anni hanno cambiato lavoro». Sebbene la scelta di non aver mai interrotto il servizio, da questo punto di vista, ha premiato rispetto allo scorso inverno poiché la macchina che riparte «è oleata e non presenta particolari criticità». Oliatissimo anche il pubblico, a giudicare dalla risposta social: «C’è una gran voglia di tornare a ballare».
A Largo si riparte da Sanremo dove la sigla del nuovo inizio sarà targata Rdl: «“Ciao Ciao” Covid».
Il Mood è ai nastri, ma nessuna falsa partenza
Non riaprirà invece il Mood, almeno per il momento. Il live-club rendese, chiuso da due mesi, attenderà marzo per capire che aria tira. Regole contorte e troppe incertezze, dalla capienza a quelle degli avventori: «La gente ha paura. Quando i media a dicembre battevano sulla variante Omicron il calo degli ingressi ci ha fermati prima del decreto». Il fattore psicologico è determinante nell’intrattenimento «per questo abbiamo deciso di non ripartire subito dato che sotto certi numeri la nostra struttura diventa insostenibile». Non solo economicamente: «Per noi il Mood è un po’ una missione, un modo per riavvicinare e rieducare le nuove generazioni alla cultura della musica dal vivo».
Il club vanta una comunità di oltre 15mila tesserati e un dato interessante emerso da questi ultimi è il repentino crollo anagrafico: l’età media degli avventori negli ultimi due anni si è abbassata di colpo. La pandemia ha scalciato via una generazione (più di una) per far posto ad un’altra: un fenomeno tra la sostituzione etnica e la rottamazione (caratterizzato dall’estinzione degli iscritti a Facebook in favore dei tiktokers).
In progetto c’è di riaprire quando il calo dei contagi sarà consolidato e la gente più serena per poi richiudere a maggio e focalizzarsi sulla stagione estiva di concerti già in cantiere, sebbene anche lì non manchino punti interrogativi: «Se limiteranno la capienza ad un massimo di mille persone, come un anno fa, sarà un problema serissimo». Fare una calendarizzazione con queste incognite equivale a lavorare «col freno a mano tirato», ci sono eventi che hanno bisogno di una programmazione di un anno altrimenti «tocca accontentarsi». Per artisti “grossi” o internazionali già è tardi «specialmente in Calabria dove portare artisti è difficile di per sé»