Il componente del Csm è intervenuto in un dibattito organizzato dall'Università e ha chiarito come sia necessario «trovare un punto di equilibrio tra i principi costituzionali». Il procuratore: «Interessiamoci anche del sovraffollamento e dei suicidi in carcere». Il sottosegretario Ferro: «Benefici in cambio della collaborazione» (ASCOLTA L'AUDIO)
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«È certamente vero che deve essere tutelato il principio costituzionale per cui la pena deve tendere alla rieducazione del condannato ma non bisogna mai dimenticare che le mafie quotidianamente con la loro azione calpestano altri diritti costituzionalmente garantiti: il diritto alla libertà personale, il diritto alla libera iniziativa economica, alla salute, al lavoro». Lo ha detto Antonino Di Matteo, componente del Consiglio Superiore della Magistratura intervenendo questo pomeriggio a Catanzaro in un convegno organizzato alla facoltà di Giurisprudenza dal titolo "L'ergastolo ostativo. Il problema e le implicazioni costituzionali".
Di Matteo: «Equilibrio tra principi costituzionali»
«Quindi bisogna trovare un punto di equilibrio tra principi costituzionali che sono tutti degni di attenzione e forse proprio per questo una specificità dell'ergastolo ostativo per i reati di mafia e terrorismo avrebbe una sua ragione d'essere». Il magistrato rispondendo alle domande dei giornalisti ha poi replicato alla possibilità di applicarlo solo per specifiche tipologie di reato: «In linea di principio è possibile anche perché il fenomeno mafioso presenta delle specificità assolutamente evidenti. La prima è data dalla tendenziale perpertuità del vincolo associativo mafioso. Si esce da cosa nostra e dalla 'ndrangheta - ha chiarito il magistrato - in due modi: o con la morte o con un segnale di rottura che renda questa volontà di uscire percepibile anche agli altri affiliati; quindi con la collaborazione con la giustizia».
In riferimento invece al decreto legge approvato nei primi giorni dal Governo proprio sull'ergastolo ostativo ha chiarito: «Io credo che rispetto alle aspettative dei mafiosi il decreto legge costituisca una buona risposta, un segnale quantomeno di attenzione al problema e all'effettività della lotta alla mafia. Credo anche che verranno fuori in questa fase conversione in legge del decreto possibili miglioramenti che renderanno ancora più efficace il controllo della magistratura di sorveglianza sull'accoglibilità eventuale delle istanze dei detenuti. È comunque un primo segnale importante che potrà divenire oggetto di ulteriori miglioramenti».
L'intervento di Gratteri
«Prima ancora di parlare dell'ergastolo ostativo bisognerebbe parlare perché avvengono tutti questi suicidi in carcere» ha aggiunto il procuratore di Catanzaro, Nicola Gratteri, presente all'iniziativa. «E se sia a causa del sovraffollamento perché io penso che bisognerebbe intanto preoccuparsi dei tossicodipendenti che sono in carcere e che hanno commesso reati a causa della loro tossicodipendenza. Penso che bisognerebbe preoccuparsi dei disturbarti di mente che sono in carcere e che invece dovrebbero stare in strutture protette, dove vi sono specialisti a curare la loro patologia».
«Portando i tossicodipendenti in comunità terapeutiche per disintossicarsi e creando strutture protette - come la rems per i disturbati di mente - risolveremo anche il problema del sovraffollamento. Ma dovremmo anche capire se siamo stati bravi o meno a spiegare alla Corte Europea cos'è la 'ndrangheta, cos'è cosa nostra, cos'è la mafia e cos'è la criminalità organizzata comune o anche il gangsterismo perché non vorrei che si facesse confusione» ha chiarito il magistrato. «E non si capisse la pervasività delle mafie che sono cosa diversa dalla criminalità organizzata».
Wanda Ferro: «Senza l'ergastolo ostativo nessun mafioso collaborerebbe»
«Nella salvaguardia dei principi costituzionali, anche per chi ha dichiarato guerra allo Stato, il governo ha indicato con estrema chiarezza da quale parte vuole stare: quella del contrasto alle mafie, della tutela delle vittime, del rispetto del lavoro di magistrati e delle forze dell’ordine che con grandi sacrifici e rischi personali combattono le organizzazioni criminali che soffocano e affamano i nostri territori». È quando ha affermato il sottosegretario all’Interno Wanda Ferro intervenendo all’Università Magna Graecia di Catanzaro ad un convegno sull’ergastolo ostativo al quale hanno preso parte tra gli altri i magistrati antimafia Nicola Gratteri e Nino Di Matteo.
La funzione rieducativa della pena
«Il tema dell’ergastolo ostativo - ha detto l’on. Wanda Ferro - mette in gioco in un delicato equilibrio da un lato il principio della funzione rieducativa della pena, dall’altro l’esigenza di contrastare l’attività delle organizzazioni criminali. È una questione rispetto alla quale sono intervenuta più volte durante il mio incarico di segretario della Commissione parlamentare antimafia nella precedente legislatura, e sulla quale il governo guidato da Giorgia Meloni ha espresso una posizione chiara fin dai suoi primi provvedimenti. Ho sempre ritenuto che abolire l’ergastolo ostativo significasse smantellare il sistema di contrasto alla mafia ispirato da Giovanni Falcone, consentendo ai boss di uscire dal carcere e riprendere il controllo del territorio. Sarebbe come realizzare i desideri delle organizzazioni criminali, facendo molti passi indietro rispetto ad una legislazione avanzatissima nel contrasto alle organizzazioni mafiose. È di tutta evidenza che l’abolizione dell’ergastolo ostativo smantellerebbe il sistema delle collaborazioni, perché nessun mafioso avrebbe più la convenienza a collaborare con la giustizia. Se consideriamo ancora attuale e prioritaria la necessità di contrastare le organizzazioni mafiose, dobbiamo ammettere che le riflessioni sulla natura rieducativa della pena non possono prescindere dal fare i conti con la natura stessa della mafia, con la filosofia di vita che sottende l’appartenenza all’organizzazione. Non un intimo ravvedimento, non motivazioni morali o religiose, salvo rarissime eccezioni, ma il carcere duro, l’ergastolo ostativo hanno indotto molti mafiosi a collaborare, per la volontà di tornare dalla famiglia, per le condizioni di isolamento».
La concessione dei benefici
«Tolto l’ergastolo ostativo – evidenzia - nessun mafioso avrebbe più la convenienza a collaborare. Si toglierebbe ai magistrati uno strumento decisivo nella lotta alle organizzazioni mafiose. Con la prospettiva della liberazione, si consentirà ai boss di aumentare la propria influenza e la propria autorevolezza nei confronti dell’organizzazione. Il nostro obiettivo è quello di salvaguardare il percorso di durezza carceraria nei confronti dei boss mafiosi, che sì non possono essere esclusi a priori dai benefìci, ma evitando che la mera buona condotta del boss mafioso in carcere, la sua solo formale dissociazione e la partecipazione al lavoro possano diventare gli unici presupposti per concedere la liberazione condizionale. Riteniamo che la concessione dei benefici debba essere ben soppesata, soprattutto in assenza di collaborazione, e che l’onere probatorio, in ogni caso, debba essere posto in capo al detenuto. Bisogna circoscrivere con precisione il perimetro all’interno del quale si possa ritenere maturato un serio, genuino, sincero, metabolizzato e convinto percorso di reinserimento nella società, inscindibile dall’abbandono della mentalità e delle frequentazioni criminali e associative».
Secondo l’analisi della Ferro «la funzione della pena non si risolve nella sola funzione rieducativa, che ne è sì tratto essenziale, ma non totalitario. Va piuttosto valorizzata la funzione social-preventiva, retributiva e punitiva della pena, in particolare modo nei confronti di coloro che sono stati condannati per delitti di natura mafiosa, Per uscire dal carcere non basterà la sola buona condotta carceraria o la partecipazione al trattamento. Saranno esclusi gli automatismi, come chiede la Consulta, ma il mafioso dovrà provare l’assoluta rottura dei collegamenti con la criminalità organizzata. Prima di valutare la connessione dei benefici si deve avere la certezza che il mafioso non ripristinerà i contatti con l’ambiente malavitoso di appartenenza e che abbia risarcito le proprie vittime».