Il servizio pubblico è tornato ad occuparsi della grave vicenda del bambino calabrese di neanche dieci anni, delle elementari, vittima un anno e mezzo fa di una serie di riprovevoli episodi di bullismo culminati con un pestaggio che l'ha mandato all'ospedale. La nuova edizione del programma “Storie Vere” di Rai 1, condotto da Eleonora Daniele, nella puntata di ieri, ha dedicato un approfondimento a questo fenomeno raccontando alcune storie emblematiche che hanno avuto vasta eco, tra cui quella dell'attore e star di “Ballando con le Stelle” Antonio Palmese e, appunto, quella del piccolo della provincia di Reggio Calabria.

In collegamento dalla sede Rai reggina sono intervenuti la giovane mamma Francesca assieme a Salvatore Agosta, consulente personale di Studio 3A, la società di patrocinatori stragiudiziali specializzata a livello nazionale nella valutazione delle responsabilità in ogni genere di sinistro, a tutela dei diritti dei cittadini, a cui la madre del piccolo si è rivolta per far luce sui fatti e per ottenere giustizia.

«E' successo di tutto e di più. Mio figlio tornava a casa tutti i giorni piangendo, non riusciva più neanche a camminare da quello che subiva a scuola, dai compagni di classe e da qualche altro alunno più grande di lui. Un incubo al punto che non voleva più andare a scuola. Ho capito che c'era qualcosa che non andava, ho cominciato a recarmi a scuola per vedere com'era la situazione, ma più si andava avanti più le cose peggioravano, non c'era via di uscita. Finché, il 27 gennaio 2016, è stato brutalmente picchiato e da lì sono iniziati i problemi, tanti, come la bulimia alimentare. Ho dovuto toglierlo da quell'istituto e mandarlo in un'altra scuola. In quei giorni mio figlio era un bambino con poca voglia di vivere» ha raccontato la mamma, puntando il dito sull'atteggiamento dell'istituzione scolastica e di tutta la comunità.

«A scuola ho trovato un muro, mi sono ritrovata in una solitudine che non avrei mai creduto di dover sopportare, un secondo dolore più grave ancora: una solitudine che ci ha distrutti, è come se fosse stato un male aver denunciato. E' forse questa la cosa più terribile: sentirmi sola e abbandonata». Parole forti.

«E' un caso molto delicato – ha continuato Salvatore Agosta facendo il punto sulla vicenda – Parliamo di un bambino di non ancora dieci anni all'epoca dei fatti (oggi ne ha undici). La mamma si è rivolta a noi di Studio 3A per avere assistenza sotto il profilo legale e per far valere i propri diritti e di questo noi ci occupiamo. La prima cosa che abbiamo fatto è stata di sporgere una querela presso le autorità del posto, le quali sono andate nell'istituto per effettuare i dovuti accertamenti. Qui, purtroppo, si è creata proprio una barriera, al punto che l'istituto è arrivato a denegare completamente i fatti - che pure noi abbiamo prontamente dimostrato con denunce e certificati medici -, anziché avviare, come avrebbe dovuto, una propria indagine interna per appurare cosa sia avvenuto e dare risposte alla famiglia. A questo ci stiamo pensando noi: abbiamo già acquisito alcuni elementi, ne serviranno altri. Abbiamo trovato un muro anche a livello di omertà ambientale: non è stato facile reperire delle testimonianze, necessarie per supportare le azioni che intendiamo portare avanti. Ci siamo riusciti ed è un altro tassello che abbiamo aggiunto per il prosieguo ottimale di questa battaglia».

Anche Antonio Palmese ha espresso sconcerto per la giovanissima età del bambino preso di mira (“dieci anni? è tanto piccolo” ha detto) ma ha fatto forza alla mamma sostenendo che «quest'esperienza negativa con il tempo rafforzerà suo figlio, diventerà una persona migliore». «ll bullismo – ha concluso il noto psichiatra Alessandro Meluzzi, ospite in studio - è un comportamento odioso e nocivo, e la sua nocività non si ferma alle vittime ma si estende alle famiglie, alle classi, all'educazione a un atteggiamento omertoso nei confronti di qualcuno che diventa il capro espiatorio di un gruppo: è una malattia profonda di una comunità e purtroppo la scuola per sua stessa natura, essendo un organizzazione anche burocratica, in casi come questi ha una certa tendenza a rinchiudersi a riccio, in modo difensivo, spesso addirittura negando, rimuovendo, minimizzando. Proprio per questo bisogna ricorrere a tutti gli strumenti che ci sono in campo, quello della pubblica opinione, delle denunce penali, dei colloqui. Quando c'è un evento di bullismo e della sua forma amplificata, che è il cyberbullismo, bisogna dire a chi lo fa di smettere, ma bisogna anche dire alla vittima di non tacere, perché il silenzio e la rimozione, alla fine, è la base di una malattia che diventa cronica, irreversibile e in qualche modo mortale».

 

Per vedere il servizio: Bullismo, la denuncia di una mamma