Le storie di successo, sono storie di salite, di fiato resistente, di poco riposo. Soprattutto sono tutte storie di montagna, perché il sacrificio è mosso sempre dall’obiettivo, e l’obiettivo è qualcosa che sta in alto, è una vetta, che ti costringe ad alzare lo sguardo per capire dove sei diretto. Da quella sommità puoi vedere tutto: la strada che hai percorso e quanto ne è valsa la pena. Quella di Simona Lo Bianco, vibonese e poco più che trentenne, è una storia anche di pazienza. Da sei anni è la manager per il fondo Fai (Fondo ambiente italiano) dei Giganti della Sila, ed è riuscita a togliere la "polvere" da un sito splendido che aveva bisogno di un tocco creativo per spiccare il volo. Con grande lungimiranza, ingoiando qualche rospo, ci è riuscita. Ha dovuto lavorare sodo per spezzare i pregiudizi e la diffidenza, e oggi raccoglie i frutti della sua idea di gestione, mostrando con orgoglio numeri da record in termini di visite al sito.

Il suo è anche il racconto di un’andata e di un ritorno. Dopo l’Università arriva a Milano, mossa dalla passione per il mondo del marketing applicato alla cultura. Si specializza, studia (ancora), viaggia molto e aspetta l’occasione giusta.

Due lauree, specializzazioni, master, esperienze e alla fine è tornata in Calabria. Perché?

«Tutto quello che ho fatto nella mia vita è sempre stato legato da un pensiero fisso: più conosci il tuo territorio, più puoi tirare fuori il massimo da esso. Ed è quello che voglio di fare».

Una missione quasi.

«Vito Teti la chiama la “restanza”. Io ho sempre pensato che era qui che volevo vivere, lavorare, veder crescere progetti».

Guidare i Giganti della Sila era nei piani?

«No, è stata una sorpresa. Un incastro del destino mi ha portato in Sila, un bell’incastro».

Com’è andata?

«Grazie al Fai. C’era una possibilità di entrare e ho tentato. Ho affrontato in tutto tre prove selettive e poi i colloqui a Cosenza e a Milano. Mi sono buttata a capofitto senza sapere neppure che sede mi sarebbe toccata in caso fosse andato tutto bene, sapevo solo che c’erano molti candidati e che non sarebbe stato facile ottenere il posto».

E invece è arrivata la famosa telefonata.

«Una grande soddisfazione, considerando che la Fondazione sceglie sempre basandosi solo sul merito e la professionalità, con un rigore assoluto».

Dove debuttò?

«In due posti splendidi, mi chiamarono a ricoprire un ruolo manageriale al castello Parco di Masino, in provincia di Torino, e sul lago di Como alla Villa del Balbaniello. Poi arrivò la chiamata per i Giganti».

Come fu l’approccio con la Sila?

«Non è stato in discesa. C’erano delle situazioni che negli anni si erano… consolidate, diciamo così, legate a un certo tipo di idea gestionale che secondo me non funzionava».

Insomma niente tappeti rossi al suo arrivo.

«Ho affrontato situazioni spiacevoli. Una donna al timone non è sempre vista di buon occhio, specie se cerca di cambiare lo status quo. Ma sono una persona molto paziente, e ho le spalle larghe».

Da dove ha cominciato?

«Per prima cosa ho osservato, cercato di capire il territorio. Ricordo quel giorno in cui ho imboccato i sentieri guardando ovunque, come un visitatore».

Cosa ha pensato?

«Che non mi aspettavo la Sila».

È un bello slogan.

«È bella la Sila, ma bisogna lavorare tanto per portare questa bellezza a chi non la conosce».

Che strategia ha adottato?

«Ho iniziato dall'analisi dei punti forti del territorio e di quelli su cui, invece, bisognava lavorare di più. Ad esempio ho notato subito che i nostri visitatori appartenevano tutti a una fascia d’età medio-alta, e questo non poteva andar bene. Adesso abbiamo tanti giovanissimi che ci vengono a trovare».

Come ha fatto?

«Abbiamo programmato una serie di attività che fanno da richiamo. Ora c’è uno staff di operatori locali, autonomi e specializzati che lavora con grande passione. L’accoglienza ai turisti è migliorata così come l’offerta legata alle visite, e poi ho puntato moltissimo sulla comunicazione. Tutela, valorizzazione e promozione sono tra le mission del Fai e io cerco di fare del mio meglio».

Parliamo dei risultati, in fondo è quello che conta, al di là dell’impegno.

«Per tre anni consecutivi siamo stati il sito Fai più visitato d’Italia nel mese di agosto. Rispetto ai dati che rientrano nella lente del ministero, quindi nell’ambito pubblico, siamo il secondo sito calabrese più visitato dopo il Museo di Reggio Calabria».

E non avete neanche i Bronzi.

«Ma abbiamo 30mila visitatori all’anno e dati costantemente in crescita mai in calo. E poi abbiamo le api».

Le api?

«Da quest’anno è partito il Progetto Api nei Beni Fai, in cui ho fortemente creduto, che la Fondazione porta avanti per dare supporto agli apicoltori locali, come Rubino Giordano, che con la sua Ape Silana collaborerà insieme a noi per portare avanti attività di vario genere: non solo visite guidate improntate sul mondo delle api e della biodiversità, ma con prospettive didattiche destinate alle scuole, all'ape-terapia, alla degustazione e vendita del miele dei Giganti e tanto altro».

Che parte ha il Fai nei Giganti?

«Il mio ingresso ha coinciso, più o meno, con quello della Fondazione all’interno dell’area. Grazie al dialogo tra diverse parti e all’intervento dell’allora commissario Sonia Ferrari e del presidente del Parco Francesco Curcio, con cui sono in costante contatto, il Fai ha ottenuto dal Parco nazionale, che è il proprietario del sito, la gestione dei Giganti e dei 5 ettari di bosco monumentale che li comprendono».

Torniamo alla sua gestione, al suo tocco, l'opera di “svecchiamento” ha dato il via anche ad attività culturali all’interno del bosco che prima non c'erano.

«Il mio sogno era quello di rendere vivo questo territorio: sono partite le attività di trekking a vari livelli, le osservazioni astronomiche, le attività di meditazione al tramonto, e anche i concerti, sempre nel massimo rispetto della natura. E poi in autunno ci sarà una novità».

Di che si tratta?

«Abbiamo vinto un bando del Pnrr che ci permetterà il restauro di un antico casolare che risale al Seicento, dono della famiglia Mollo al Fai. È una testimonianza straordinaria di una storia che non va dimenticata. Non sarà qualcosa che si sovrapporrà a realtà già esistenti, mi riferisco alla Nave della Sila e al Cupone, ma darà un valore aggiunto a questo territorio».

Territorio che ha bisogno di essere raccontato partendo dalla sua storia, ma senza staccarsi dal presente.

«Quando durante le visite guidate, spieghiamo ai turisti le tradizioni, i miti, i rituali anche di un tempo, vogliono tutti saperne di più. Una volta che saranno terminati i lavori nel Casino Mollo, racconteremo lì la storia rurale della Sila, riproducendo le tipiche ambientazioni di quel periodo. A ottobre spero che riusciremo ad aprire il piano terra. Quello che voglio è che sia un luogo accessibile a tutti, non ci saranno né barriere architettoniche né cognitive perché tutti hanno il diritto di comprendere e godere di certe cose».

Appassionata e ambiziosa.

«E amo lavorare in gruppo. Lo dico sempre: una stella brilla, sì, ma tante stelle brillano di più».