«È come invitare qualcuno a una cena che prometti sarà straordinaria, e poi, quando l’ospite arriva, gli presenti un piatto di pasta e olio».
Professor Francesco Aiello, lei è esperto di politica economica con interessi di studio sul turismo, è proprio così che sta facendo la Regione Calabria con i turisti, si è dimenticata di averli invitati?
«Da anni la Regione Calabria ha preso la strada più facile, più comoda. S’è messa a promuovere un territorio affidandosi alle solite dinamiche del passato. Ma non si vendono scarpe solo dicendo che sono artigianali e poi, sotto sotto, sono fabbricate in serie».

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Un po’ bariamo?
«Speriamo di vendere un qualcosa che di fatto è significativamente diverso da come l’abbiamo promosso. Se avessi un drone adesso, e lo puntassi a distanza ravvicinata sulla Colonna di Hera, a Capocolonna, senza allargare troppo, e ci girassi intorno filmandola con la luce del tramonto, chiunque vedesse quelle immagini penserebbe che lì è il Paradiso e ci vorrebbe andare. Il primo impatto è certamente accattivante».

Allora qual è il problema?
«Il problema è che non è così, qui non è il Paradiso. Nella stragrande maggioranza delle destinazioni turistiche, il contesto è diverso da come si comunica nei filmati. I servizi, pubblici e privati, sono ridotti al lumicino, anche quelli di base. In molti casi, l’arredo urbano segnala incuria e degrado. La Calabria non ha, in media, servizi adeguati rispetto alla domanda di qualità dei turisti. Il turista non deve essere invogliato solo a venire qui, ma deve trovare condizioni e stimoli sia per muoversi in altri posti della regione sia per tornare in seguito».

Il punto è proprio questo
«Sì, lo è. Se non si soddisfano le aspettative del turista, osserviamo almeno tre costi. Da un lato, quel turista non ritornerà in Calabria. Dall’altro lato veicolerà la sua cattiva esperienza ad altri potenziali interessati, disincentivandoli. Infine, i rendimenti delle variegate campagne promozionali equivarranno a granelli rispetto ai costi sostenuti per realizzarle».

Questo spiega perché il turismo qui non spacca come dovrebbe.
«Ma perché dovrebbe essere il contrario, mi chiedo. Mancano alcuni fondamentali, tra cui servizi diversificati e di qualità, formazione nell’intera filiera di offerta turistica e dialogo tra gli operatori. Se in luoghi turistici il personale non parla le lingue e non sa rapportarsi al cliente, è un problema. Se i prezzi non sono correlati alla qualità dei servizi, è un problema. Se in molti mesi dell’anno il castello aragonese a Le Castella è chiuso, è un problema. Se l’offerta di servizi nelle varie destinazioni non è varia, è un problema. Se il numero di imprenditori, in senso stretto, è limitato, è un problema. Se l’adozione di soluzioni digitali non è massiva, è un problema. Oggi, non è più sufficiente offrire ai turisti la wi-fi in camera».

Come ci si muove in uno scenario così? Occorre forse ridurre la quota di investimenti nel marketing?
«Il marketing è una delle fasi terminali della catena del valore. Qua, da anni si è invertito il processo, investendo massicciamente in comunicazione, trascurando, però, il fatto che manca un sistema integrato di offerta di servizi turistici. Peraltro, non abbiamo grandi attrattori turistici. La Calabria è ricca di attrazioni ed è significativamente dotata in molte nicchie del turismo. Tuttavia, si tratta di luoghi, attrazioni e di identità territoriali di piccolissima dimensione e, in quanto, tali, non riconosciute nei vari segmenti del mercato del turismo, se non ai turisti iper-specialisti. Per rimuovere questa barriera dell’invisibilità, occorre costituire reti strutturate ed integrate di più attrattori. In questa prospettiva è cruciale che l’iniziativa sia promossa dai privati e dalle istituzioni pubbliche, ammesso che queste la riconoscano come una loro missione. Ne dubito».

Mi faccia un esempio, così per capirci meglio.
«A Pompei ogni anno arrivano milioni di turisti. Se il 10% di quel totale viene portato a visitare anche il Cilento, questo beneficerà della forza attrattiva di Pompei e registrerà considerevoli incrementi di flussi turistici. La permanenza media dei turisti in Campania non potrà che aumentare. Così sta avvenendo in Basilicata».

La Basilicata, la prima della classe.
«Una regione che ha successo, non per caso».

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E perché?
«Perché ha capito che per proporre al grande pubblico la ricchezza dell’entroterra non poteva che fare riferimento agli arrivi a Matera sul versante jonico e a Maratea su quello tirrenico. Se anche una quota marginale di turisti che arrivano in queste due riconosciute destinazioni turistiche è incentivata a visitare il resto della Basilicata, l’esito è un incremento delle presenze e una rivitalizzazione delle zone interne della regione».

Allora forse meglio puntare sulla verità: promuovere i nostri disservizi, lanciare un’idea di wild Calabria in cui sopravvivere.
«Potrebbe funzionare, se fatta bene…».

Da uno studio capillare, mirato sulla Sila, altra grande attrazione calabrese, ha scoperto qualcosa di interessante? Come ha condotto questo studio, su che campione?
«Assieme al gruppo di ricerca di OpenCalabria abbiamo intervistato 72 strutture alberghiere ed extra-alberghiere distribuite su tutto l’altopiano della Sila (aree di Villaggio Mancuso, Villaggio Palumbo, Lorica e Camigliatello Silano). Il campione è vasto: 1150 camere, 2960 posti letto, quasi la totalità dell’offerta ricettiva della Sila».

Cosa ne è venuto fuori?
«Che la montagna ha sperimentato un significativo incremento di turisti negli anni immediatamente successivi al Covid, ossia nelle estati (da luglio a ottobre) del 2020 e del 2021. In media si sono registrate 89mila presenze a stagione. Una variazione del 20% rispetto al 2019. I dati sono stati confermati anche per l’estate del 2022, sebbene si osservi una leggera riduzione delle presenze totali rispetto al 2021. È di interesse ricordare che la crescita è stata più sostenuta per le strutture che rispetto al 2019 hanno incrementato i servizi offerti ai turisti (prima e durante il soggiorno) e per quelle che hanno adottato soluzioni digitali».

Eppure c’è un ma…
«Il punto è che gli “innovatori” sono pochi e, quindi, il rischio, è che il turismo estivo in Sila ritorni ai livelli pre-Covid. Il mio auspicio è che il sistema riesca a rendere permanente l’interesse dei turisti verso la montagna, che ricordiamolo, è aumentato esponenzialmente negli anni del Covid per il bisogno di fare vacanza in luoghi percepiti sicuri, a contatto con la natura e con la possibilità di svolgere attività all’aria aperta in località non affollate. La Sila, appunto».

In Calabria le attrazioni non mancano, sui Bronzi di Riace, ad esempio, quest’anno abbiamo investito 3 milioni di euro per festeggiare i cinquant’anni, sono tanti soldi.
«In effetti non sono briciole. Forse, ma servirebbe uno studio serio per confermarlo, l’utilità al margine di promuovere in modo così massiccio i Bronzi di Riace è bassa. Il motivo è che essi sono ormai noti come “attrattori turistici della Calabria”. Chi finanzia queste attività dovrebbe studiare quant’è “saturo” il mercato della comunicazione dei Bronzi. La stragrande maggioranza dei turisti li conosce: se un turista londinese arriva all’aeroporto di Lamezia la prima cosa che intende visitare sono le due statue. Se c’è saturazione nella comunicazione, parte di quei 3 milioni potrebbe essere utilizzata per costruire una rete di piccoli attrattori che ruotano attorno agli interessi storico-culturali dei turisti che arrivano a Reggio Calabria. Se una quota, anche piccola, di questi turisti fosse incentivata a visitare, per esempio, Stilo, Locri e Roccelletta di Borgia, forse la nicchia del turismo storico-culturale mostrerebbe più dinamismo».

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C’è un po’ l’impressione che a queste fiere, Bit compresa, ci sia un flusso di calabresi che parlano di Calabria a sé stessi, è un po’ come cantarsela e suonarsela pure?
«Credo che in parte sia vero. Non facciamo che raccontarci che siamo la regione più bella, con il cibo più buono. Falso. Destinazioni turistiche altamente qualificate ed estremamente belle sono presenti in tutte le regioni italiane. L’Italia è forse l’unico Paese dove si mangia bene ovunque. Dovremmo piantarla di pensare di essere “straordinari”. Siamo disorganizzati, questo sì, e, in media, bravissimi ad improvvisare».

Come ci organizziamo?
«Bisogna fissare un obiettivo di medio periodo che, quindi, non sia affetto dai cicli elettorali: bisogna far sì che il turista non solo arrivi in Calabria, ma che ci resti più a lungo. Credo che sia corretto puntare sui tanti segmenti del turismo (religioso, storico-culturale, sportivo, esperenziale, balenare/montano, congressuale), ma senza una strategia che aggreghi i numerosi micro-attrattori, mai si riuscirà ad avere flussi turistici tali da garantire sostenibilità economico-finanziaria alle varie attività ed iniziative. Un esempio aiuta a capire il problema e la proposta per la soluzione dello stesso. Qui, a parte le visite al santuario di san Francesco di Paola, non esiste il turismo religioso, sa perché?»

Non è una questione di fede, suppongo.
«No, suppone bene. Perché non abbiamo una strategia per portare il turista oggi a Paola, domani a Corigliano-Rossano, dopodomani a San Giovanni in Fiore. Se fossimo organizzati, le visite giornaliere potrebbero essere trasformate in permanenze di due/tre giorni, a tutto vantaggio delle località. Al contrario, è tutto affidato alla cultura e agli interessi del singolo, alla sua conoscenza anche casuale di cattedrali, chiese, monumenti. Ignoriamo le potenzialità di questa nicchia di mercato, nonostante la “carica spirituale” di molti luoghi della regione, dal Pollino allo Stretto. I numeri consentono di capire a cosa stiamo rinunciando: nel 2022 in Italia il turismo religioso ha interessato 6 milioni di visitatori, di cui il 60% stranieri».

Quindi consiglia prima di invitare persone a cena, di fare la spesa.
«E di mettere in evidenza un pro-memoria appiccicato sulla porta del frigorifero, tanto per essere sicuri».