Storie da raccontare

Don Carlo Arnone il parroco delle periferie: da 55 anni in missione nelle zone più impervie della Sila

Biblista, studioso gioachimita, più volte ricevuto dai papi in Vaticano, ha rinunciato a nomine importanti per continuare il suo lavoro in Calabria

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di Franco Laratta
1 luglio 2024
10:52

Monsignor Carlo Arnone è un prete diocesano, appartenente al clero cosentino. Sono esattamente 55 anni che serve con grande impegno e determinazione la chiesa di San Giovanni in Fiore. Qui è nato nel 1941 e, dopo un corso di studi e specializzazioni piuttosto approfondito tra Cosenza e Catanzaro, è stato consacrato sacerdote il 14 Agosto 1969 da mons. Domenico Picchinenna.
Don Carlo sta vivendo momenti di salute molto delicati, ma è lucidissimo e bene informato, e continua a fare l’assistente spirituale del Centro Internazionale di Studi Gioachimiti. Sembra ieri quando cinque anni fa ha celebrato il suo 50.mo di sacerdozio: nell’occasione tanti vescovi e tantissimi sacerdoti si sono ritrovati nell’abbazia florense di San Giovanni in Fiore per abbracciarlo. Una cerimonia solenne ed esaltante.

La sua attività di giovane e dinamico prete è iniziata e si è sempre più consolidata nelle periferie, nei quartieri in degrado, nei posti dove non esisteva nemmeno una cappella per pregare e dove, molto spesso, mancavano i principali servizi pubblici.  «I giornalisti mi hanno definito il parroco delle periferie", perché, rifiutando altri incarichi, ho deliberatamente scelto di operare pastoralmente nelle periferie est del grosso centro silano - allora abbandonate dal punto di vista religioso - ricevendo la nomina di Parroco della Natività B.V.M dove sorgeva un monastero basiliano celeberrimo (dicono gli storici) che sopravvisse, sia pure nelle condizioni di un monastero annesso e subordinato, al potente archicenobio florense di Gioacchino da Fiore. 
Nella Parrocchia della Natività costruii tre chiese ed un'altra in Sila fuori parrocchia!»


Per don Carlo è stato un impegno sempre duro. Pur senza mezzi e risorse a sua disposizione, egli ha lottato duramente in favore della promozione umana, sociale e spirituale delle anime che gli sono state affidate, soprattutto quelle dei soggetti più fragili e soli. 
«I momenti più belli della mia vita di parroco sono quelli in cui realizzavo la costruzione delle chiese dove si poteva esercitare il culto cattolico, confortato da quanto ha scritto Gioacchino, e cioè che "Le chiese sono opere sociali e coloro che le promuovono avranno i loro nomi scritti in Cielo dove brilleranno come stelle di prima grandezza nel firmamento, nel giorno della parusia finale». 

Ci sono stati anche momenti difficili nella lunga attività pastorale di Arnone. 
«Il momento più triste che mi ha dato molto dispiacere dal punto di vista pastorale è stato quando le suore, allocate nel Palazzo Lopez della mia parrocchia, dopo circa trent'anni di attività di vario genere, subito dopo le mie dimissioni da parroco per motivi di età e di malattia, hanno lasciato la Parrocchia che avevano servito, pastoralmente, per tanti anni! Ora, si aspetta che possano ritornare nella parrocchia, e definitivamente!» 

Mons. Arnone sta vivendo con sofferenza questa parte della sua vita, con la malattia sempre a fianco. 
«Vivo intensamente nella sofferenza, nella preghiera e nella speranza di una vita migliore. Penso spesso alle sofferenze subite e sopportate da Gesù Cristo per la nostra redenzione e offro le mie al Signore per il perdono dei nostri peccati e per suffragare le anime di tutti i nostri parenti defunti nella speranza della resurrezione finale nel giorno del giudizio universale». 

Chiacchierando con don Carlo, la curiosità che emerge riguarda qualcosa che avrebbe voluto fare e poi non ha fatto. Ammesso che ci sia. 
«Certo che c’è. Sarei voluto partire e diventare missionario, secondo quanto troviamo nel Vangelo di San Matteo 28,19 e ss: "Andate in tutto mondo, predicate il Vangelo a tutte le creature battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo". Questa, che è la vera missione della Chiesa, è stata attuata in modo particolare dal nostro Don Battista Cimino come "fidei donum». 

Tantissimi anni di sacerdozio, tanti papi. 
«È vero! Ho conosciuto molti papi che hanno retto la Cattedra di Pietro come pastori e guida della Chiesa cattolica, cioè universale! Alcuni di essi li ho conosciuti di persona, come Giovanni Paolo II, ma quello a cui sono più legato dal punto di vista dottrinale è stato Benedetto XVI, considerato il più grande teologo del secolo scorso e che nella sua elaborazione della teologia della storia, mette in evidenza il pensiero di Gioacchino da Fiore "la cui fama non verrà mai meno!»

Papa Francesco in dieci anni ha radicalmente cambiato il Vaticano. Ma è molto contestato tra le Gerarchie. 
«Papa Francesco, legittimamente eletto - fermi restando i principi della civiltà del cristianesimo, desunti dalla legge morale naturale e dalla Bibbia, il libro sacro dei cristiani - applica la teologia che, sotto alcuni aspetti, si evolve con nuove conoscenze bibliche alle esigenze di una società moderna, sempre in fase di evoluzione!»

Gioacchino da Fiore, "un visionario credente". Non è facile presentarlo nella società odierna. 
«Secondo Papa Francesco, proveniente dall'ordine dei Padri Gesuiti, Gioacchino è un credente lungimirante (=visionario) perché predicava l'avvento di una Chiesa spirituale che doveva sostituire quella carnale del suo tempo! Possiamo definire Gioacchino da Fiore come uomo cattolico, di sana dottrina e costumi e come "il più grande biblista del secondo millennio" (cardinale Martini) che, con le sue teorie di interpretazione della Bibbia, ha suscitato un movimento (il gioachimismo), presente in tutti i secoli fino ai nostri giorni.»

Di recente, don Carlo ha ricevuto una visita importante da parte di una docente in pensione che, al termine dell'incontro, ha scritto: «Incontrare Mons. Carlo Arnone, anche se solo per breve tempo, è stato per me motivo di grande commozione. Non è usuale trovarsi al cospetto di una persona che ha dedicato la propria vita allo studio, alla filantropia, alla riflessione e alla guida spirituale degli altri. La Sua vita è un esempio luminoso di dedizione e amore verso il prossimo e la Sua capacità di infondere speranza e saggezza è davvero straordinaria. La Sua erudizione non è solo accademica, ma anche profondamente umana e spirituale, capace di far vibrare le corde più intime dell'anima».

Don Carlo, studioso della Bibbia, il “parroco degli ultimi”, delle chiese emarginate, delle chiese da costruire e da ristrutturare, il sacerdote che faceva il missionario nelle zone più impervie, più lontane, dove lo Stato spesso non è mai arrivato.  
Docente alle Scuole superiori, colto e preparato, molto attento al pensiero di Gioacchino da Fiore. Nella sua ex parrocchia di San Domenico ha fatto realizzare molti anni fa il primo busto dedicato all’abate ‘di spirito profetico dotato’. Cinque anni fa, per abbracciare don Carlo, son venuti nell’Abbazia gioachimita l’allora Arcivescovo di Cosenza-Bisignano, Monsignor Nolè, l’Arcivescovo emerito Mons. Nunnari, Il Vescovo di Crotone-Santa Severina, monsignor Graziani, il Vescovo di San Marco Argentano-Scalea, Monsignor Bonanno. E poi almeno trenta sacerdoti, i parroci della città e del circondario e tantissima gente che ha affollato la grande navata dell’Abbazia Florense. 

Ieri, così come oggi, a Don Carlo tutti riconoscono importanti realizzazioni, la nascita di una parrocchia in un quartiere di San Giovanni in Fiore in forte espansione popolare, nato sul finire degli anni ‘70, il quartiere dell’Olivaro, privo di ogni servizio e senza strade; un quartiere popolare che rischiava di diventare un ghetto di emarginati. Questo grazie a don Carlo è stato in buona parte evitato. Don Carlo ha dato una chiesa al vecchio borgo di ‘Fantino’, un oratorio al villaggio Sculca, nella Sila più profonda, ha fatto restaurare la chiesetta dell’Ecce Homo, la Cappella del Cimitero cittadino, la chiesa del villaggio rurale del Germano e la storica chiesa dei Tre Fanciulli in zona della “Patìa”. Costruttore vero, e non solo di edifici, ma prima di tutto di comunità, per dare un’anima alle periferie e ai villaggi sperduti, provando anche a ridare vita a quei villaggi fantasma, ormai in avanzato stato di abbandono.

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