Ogni anno tanti turisti percorrono i sentieri con il naso all’insù per ammirare i patriarchi dell’altopiano: «Questi alberi plurisecolari rappresentano un gioiello sia naturalistico che storico»
Tutti gli articoli di Ambiente
Se un Gigante crolla lì resta, fino a che la natura non lo riprende con sé, la terra lo accoglie, piano lo trasforma nuovamente per creare altra vita. Entrando nella riserva Fai dei Giganti, sul sentiero dell’andata c’è il “brontosauro”, così lo chiama qualcuno. È un albero possente, un tempo sorvegliava il cielo come gli altri, oggi è accoccolato al terreno con i suoi lunghi rami che paiono le ossa di un dinosauro. Più avanti ce n’è un altro, ha due buchi per occhi, un incavo che simula una bocca sorpresa. È la pareidolia il gioco preferito di chi cammina con la testa verso il cielo, è la suggestione che fa trovare somiglianze tra oggetti ed esseri viventi. Insistendo con lo sguardo sulla “V” disegnata da due pini larici che si diramano da un tronco bianco ricoperto da licheni, sembra di indovinare due amanti che guardano da lati opposti ma tenendosi per mano; poco vicino altri due, invece, fanno pace, con un abbraccio di schiena e i rami tesi verso ovest.
Un gioiello verde
Nella riserva dei Giganti di Fallistro, dal 2016 gestita dal Fai, gli alberi parlano e stupiscono. Simona Lo Bianco è la property manager, entusiasta, appassionata, accoglie frotte di viaggiatori sul ponticello in legno da cui comincia il percorso. Il bosco ultracentenario che aspetta di essere guardato, alle sue spalle conserva oltre 60 esemplari di pini larici e aceri montani piantati nel Seicento dai Baroni Mollo, proprietari del vicino Casino, donato al Fai.
«Ci troviamo immersi in una natura straordinaria – racconta Simona Lo Bianco in una breve pausa tra un gruppo di turisti e l’altro -. I Giganti sono alberi plurisecolari che rappresentano un gioiello non solo al livello naturalistico ma storico. Sono la testimonianza di come questo bosco veniva abitato dalle popolazioni di un tempo».
La resina terapeutica
Alcuni degli alberi presentano della cavità, piccole grotte scavate nei tronchi per ricavarne grosse quantità di resina, poi cauterizzate.«Ci troviamo al centro della Calabria che, una volta, era il centro della Magna Graecia. Queste terre hanno dato molto in termini di risorse, un bene molto prezioso era considerato la resina. Si diceva che proprio qui fu crocefissa e messa al rogo una strega, una magara, accusata di aver trafugato della resina nottetempo per perfezionare le sue pozioni magiche. Naturalmente si tratta di una leggenda che, tuttavia, ha un fondo di verità perché era diffuso l’uso della resina per curare raffreddore o influenza. Nella prima e seconda guerra mondiale veniva addirittura usata per cicatrizzare le ferite da arma da fuoco. Le magare possiamo considerarle le prime naturopate, erboriste che sapevano come usare le gemme del bosco a fin di bene o a fin di male».
Gli alberi che si stagliano, con i loro tronchi imponenti, regalano a chi passeggia per i sentieri, uno spettacolo suggestivo e avvolgente per gli occhi e per il cuore.
«I Giganti sono giunti a noi nonostante i massicci disboscamenti di cui è stata vittima la Sila. La famiglia Mollo si battè fino all’ultimo per evitare che gli ultimi esemplari di pini secolari venissero abbattuti. Ci troviamo di fronte a un patrimonio vivente, i Giganti sono come le persone, ci parlano e ci danno energia e noi dobbiamo proteggerli, accudirli, custodirli e valorizzarli».