Che i conti non tornassero all’impianto privato di trattamento dei reflui industriali della Consuleco a Bisignano, lo avevano già percepito oltre dieci anni fa, nella primavera del 2008, gli agenti della polizia amministrativa della questura di Cosenza, impegnati in due distinti servizi di controllo effettuati nello stabilimento il 13 maggio e poi il 4 luglio di quello stesso anno, con l’assistenza dei finanzieri di Acri, dei militari dell’allora Corpo Forestale dello Stato e dei chimici dell’Arpacal.

Decine di cisterne impegnate nello scarico

A catturare l’attenzione del personale impegnato nelle attività di verifica, era stato in particolare il numero di autocisterne in arrivo nel depuratore della Consuleco da diverse parti d’Italia: decine di mezzi al giorno, di capacità compresa tra i 25 mila ed i 35 mila litri di percolato, cui si aggiungevano anche fanghi, liquami fognari vari ed altri reflui in arrivo da altre ditte autorizzate.

Costoso andirivieni

Il via vai è annotato dalle forze dell’ordine che poi scriveranno nell’informativa trasmessa alla Procura bruzia: «Non si comprende come l’impianto possa smaltire tutti questi liquami, né si comprende quale utilità economica vi possa essere, nel veicolare il percolato di discarica per centinaia e centinaia di chilometri da Puglia, Sicilia, Umbria, Lazio, Lombardia, con costi di trasporto enormi. Soprattutto in considerazione della capacità di stoccaggio dell’impianto della Consuleco il cui quantitativo autorizzato non deve superare i 345 metri cubi al giorno».

Amministratore denunciato a piede libero

Si ipotizzava quindi uno smaltimento illecito che consentisse di praticare tariffe inferiori rispetto alla media del mercato che rendessero conveniente portare i reflui proprio a Bisignano. Il verbale è datato 24 luglio e segnala diverse irregolarità, comprese quelle segnalate dall’Arpacal che evidenziava la presenza nel Mucone di metalli pesanti e di azoto ammoniacale fino a otto volte il massimo consentito dalla legge.

Affari centuplicati

Rispetto all'apertura del 2001 «la Consuleco ha centuplicato gli affari – si legge ancora nell’informativa del luglio 2008 – Arrivano rifiuti di ogni sorta scarsamente monitorati e si è assistito anche a morie di pesci senza precedenti». Sulla base di questa documentazione l’amministratore Vincenzo Morise, è stato poi denunciato a piede libero per l’inquinamento delle acque del fiume.

Autorizzazione ampliata

Poco tempo dopo, a dicembre del 2008, nonostante i danni ambientali accertati dalle autorità di polizia ed il perdurare delle indagini, la Consuleco è stata autorizzata a potenziare il carico di liquami da trattare da 345 metri cubi a 600 metri cubi al giorno. Una capacità maggiore rispetto all’attiguo depuratore pubblico dove poi la stessa Consuleco scaricava. «Ciò stride con la funzionalità dell’impianto – scrivono i funzionari di polizia amministrativa in un secondo rapporto datato febbraio 2009 – Se il privato è autorizzato per 600 metri cubi, l’impianto pubblico dovrebbe essere autorizzato almeno per il doppio, se non il triplo dei metri cubi».

Numeri incongruenti

Questo perché deve accogliere gli scarti del privato oltre che i liquami della rete fognaria comunale. «Appare quindi chiaro – concludono – che i tempi di depurazione dei reflui trattati dal privato sono ridotti rispetto al tempo necessario per la lavorazione. Perché succede ciò è presto detto: i liquami provenienti da trasporto su ruota sono notevoli pertanto superano la capacità di accumulo nelle cisterne di stoccaggio - viene denunciato nell'informativa trasmessa alla Procura - Quindi si rende necessario velocizzare il trattamento, per consentire la lavorazione di tutti i rifiuti accettati». Insomma la Consuleco riceveva più liquami di quanti potesse effettivamente smaltirne. E come riuscisse ugualmente ad accoglierne una tale quantità poteva essere spiegato solo con lo svuotamento rapido delle cisterne di stoccaggio, senza rispettare le tempistiche di depurazione.

Scarichi non registrati

Inoltre, in due diverse date del gennaio 2009, viene segnalata la presenza nell’impianto di complessivi sette automezzi carichi di rifiuti liquidi di ogni sorta, non registrati all’ingresso. Più o meno quello che hanno accertato i carabinieri forestali nell’ambito dell’operazione Arsenico, culminata con il sequestro dello stabilimento privato, l’emissione di due ordinanze cautelari dell'obbligo di dimora, nei confronti di Vincenzo Morise, 72 anni, e del figlio Nicodemo di 41, rispettivamente amministratore e direttore della Consuleco srl e l’iscrizione di dodici dipendenti sul registro degli indagati. La Consuleco quindi, avvelenava il Mucone certamente tra il 2008 e il 2009 e tra il 2019 e il 2020. Nel mezzo dieci anni di attività più o meno indisturbata. E tonnellate di veleni transitati senza sapere se siano stati correttamente smaltiti