La società che gestisce la discarica parla di 10mila metri cubi sversati, che sarebbero poi diventati 15mila per via dell'azione delle acque sorgive. Nessuna parola, nel corso del tavolo tecnico convocato in Regione, sulle possibili cause di quanto accaduto. E Legambiente chiede una nuova riunione in contrada Pipino
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Parla di «invasi temporanei» il dirigente del dipartimento regionale Ambiente e ammette: la preoccupazione è legata alle condizioni climatiche. Già, perché se arrivasse un improvviso temporale estivo – circostanza tutt’altro che fantasiosa – il percolato confinato in modo così precario potrebbe fluire in mare. Non serve paventare il disastro ambientale perché quello, per ammissione della stessa Regione Calabria, c’è già. Dopo il lungo silenzio, dopo la reiterata richiesta di risposte, Salvatore Siviglia ha finalmente rotto gli indugi e convocato d’urgenza un tavolo tecnico. Proprio così, d’urgenza, due giorni fa. A due settimane, cioè, dallo sversamento e nel giorno fissato per la manifestazione organizzata per chiedere l’immediata bonifica del territorio. Il territorio, inutile dirlo, è quello della valle del Nicà, alle prese ormai dal 22 giugno con le conseguenze della fuoriuscita di percolato dalla discarica di contrada Pipino.
Al tavolo c’erano i rappresentanti della ditta proprietaria dell’impianto, la Bieco, e i sindaci della zona. Alcuni di loro “strappati” al corteo che, nelle stesse ore, ha sfilato lungo la Statale 106. Rassicurati? Ni. La Bieco ha garantito la messa in sicurezza nell’arco di dieci giorni. Ma intanto ne sono già passati 15 e c’è da capire cosa sia successo nel frattempo. Le analisi chimiche effettuate da Arpacal, richieste nel corso dell’incontro, pare siano coperte da segreto istruttorio. E intanto l’impressione è che una situazione straordinaria – è stato lo stesso Siviglia nella sua lettera di convocazione a parlare di «eccezionalità dell’evento» e «situazione emergenziale» - la si stia trattando come ordinaria.
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La rimozione del percolato in 10 giorni
Agostino Chiarello, sindaco di Campana, è uno di quelli che hanno dovuto disertare la manifestazione per la Cittadella. Dice di aver provato, nel corso dell’incontro, a chiedere lo stato di emergenza e la nomina di un commissario ad acta in modo da bypassare tutti gli enti coinvolti ed evitare rallentamenti dovuti alla burocrazia, «ma mi è stato risposto che al momento non è un’ipotesi contemplata».
Bieco, dal canto suo, ha puntato a rasserenare gli animi, e a chi ha contestato l’avvio delle operazioni di rimozione del percolato dai corsi d’acqua con 4 giorni di ritardo ha risposto che invece questo coincide con il giorno dello sversamento. A ogni modo, ha garantito, 9mila metri cubi sarebbero già stati rimossi. Ne restano 6mila, che sommati agli altri fanno i 15mila metri cubi di cui ha dato notizia Siviglia.
La Bieco parla di 10mila metri cubi fuoriusciti dall’impianto. Il conteggio dei 15mila dovrebbe dunque essere il risultato dei 10mila iniziali più 5mila risultanti dall’azione delle acque di sorgente, che hanno continuato ad alimentare il materiale disperso nei torrenti e nel fiume Nicà dal 22 giugno scorso.
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Tempi previsti per la rimozione totale del percolato: 10 giorni. Anche se qualcuno si lascia sfuggire che sembra una previsione un po’ troppo «ottimistica». L’incognita, però, è legata al maltempo: se arrivasse una pioggia, come ha ammesso lo stesso Siviglia, gli argini di sabbia creati per confinare il percolato potrebbero sciogliersi e mandare a monte – o, in questo caso, a mare – tutto il lavoro e le previsioni ottimistiche.
Altro dubbio: il grado di permeabilità degli argini è tale da scongiurare la fuga di materiale inquinante oltre la zona confinata? Dubbio che sarebbe stato debitamente espresso nel corso della riunione rimanendo, però, senza risposte. Così come senza risposte sono rimaste le cause del disastro. Del resto Siviglia, a inizio seduta, avrebbe messo subito le mani avanti: si parla del rischio connesso a quanto è avvenuto, sul resto neanche una parola. Parola che però dovrà arrivare – e forse anche più di una – dagli esiti degli accertamenti in corso.
Gli interventi in tre fasi
«Il disastro ambientale c’è, non lo negano né Regione né Bieco. L’azienda è consapevole del fatto che deve porre rimedio a questa situazione», afferma Antonello Giudiceandrea, sindaco di Calopezzati, anche lui presente alla riunione. E quindi si procederà così: svuotamento degli invasi, caratterizzazione del sito, bonifica. La prima parte dovrà concludersi in 10 giorni, con l’aspirazione di tutto il percolato presente e il trasporto con le autobotti ai siti autorizzati: uno a Gioia Tauro, gli altri sparsi tra Campania, Puglia e Sicilia.
Giudiceandrea spiega che Regione e Bieco sono sembrate «sul pezzo». Pronte, cioè, a gestire la cosa. Ma rimane il pensiero del rischio legato al meteo – perché in dieci giorni potrebbe succedere di tutto – e il fatto che la discarica è ancora lì. In mezzo a una biovalle, un distretto d’eccellenza per le produzioni agricole. Non proprio il posto migliore per un impianto che tratta rifiuti e, alla prova dei fatti, non così sicuro.
Perché è un fatto che il percolato, che non sarebbe dovuto fuoriuscire, invece se n’è andato in giro. Era evitabile? Prevedibile? A queste domande risponderanno le autorità deputate a farlo. Di sicuro, qualcuno il rischio lo aveva paventato da tempo. Nicola Abruzzese, presidente del circolo Legambiente Nicà, in diversi esposti aveva segnalato una serie di anomalie sulle quali aveva chiesto chiarimenti mai arrivati. «Nei prossimi giorni – fa sapere – chiederemo copia del verbale del tavolo tecnico perché il territorio deve sapere quello che si è detto e quali determinazioni sono state assunte in merito all’articolo 242 del Codice dell’Ambiente».
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Le prescrizioni del Codice dell'Ambiente
Si tratta del decreto legislativo n. 152 del 3 aprile 2006, che nella parte quarta – quella che contiene l’articolo citato da Abruzzese – detta le “norme in materia di gestione dei rifiuti e di bonifica dei siti inquinati”. Al numero 142 si possono leggere le “procedure operative e amministrative” tra le quali, al comma 1, è riportata la seguente: “Al verificarsi di un evento che sia potenzialmente in grado di contaminare il sito, il responsabile dell'inquinamento mette in opera entro ventiquattro ore le misure necessarie di prevenzione e ne dà immediata comunicazione ai sensi e con le modalità di cui all'articolo 304, comma 2”. E cioè: “L'operatore deve far precedere gli interventi (…) da apposita comunicazione al Comune, alla Provincia, alla Regione, o alla Provincia autonoma nel cui territorio si prospetta l'evento lesivo, nonché al prefetto della provincia che nelle ventiquattro ore successive informa il ministro dell'Ambiente e della Tutela del territorio e del mare. Tale comunicazione deve avere ad oggetto tutti gli aspetti pertinenti della situazione, ed in particolare le generalità dell'operatore, le caratteristiche del sito interessato, le matrici ambientali presumibilmente coinvolte e la descrizione degli interventi da eseguire".
Se questa comunicazione ci sia stata o meno non è dato sapere. Chi per due settimane non ha saputo nulla, di certo, sono stati i residenti della zona, che invece erano quelli ad averne diritto più di chiunque altro. Se le predette misure di prevenzione siano state messe in atto entro 24 ore dall’evento, come prescritto, anche questo non è chiarissimo. Come già detto, nel corso del tavolo tecnico qualche sindaco ha contestato l’avvio degli interventi con 4 giorni di ritardo, ma la Bieco nega e assicura di essere passata all’azione il 22 giugno stesso. È la parola dell’uno contro quella dell’altro.
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E dopo l'emergenza?
Abruzzese, adesso, chiede «la convocazione di un tavolo tecnico in località Pipino con la presenza dei nostri tecnici». Magari anche in tempi brevi. E poi, passata la fase emergenziale, l’impressione è che il dibattito sia destinato a durare. Perché quello che è successo – comunque sia successo – ha ridato voce alla contestazione, a chi questa discarica non l’ha mai voluta e continua a non volerla.
Legambiente prosegue imperterrita nel chiederne la chiusura. E non è l’unica a sollevare eccezioni sulla presenza di un impianto con quelle caratteristiche nella valle del Nicà. Chiarello si dice d’accordo: «Pagheremo i danni di quanto accaduto nel corso del tempo». E Giudiceandrea fa un volo con la mente oltreoceano e scomoda Gabriel Garcìa Màrquez: «Ripartire nelle stesse condizioni sarebbe una ricronaca di una morte riannunciata».