Tra storiche bonifiche e quartieri in bilico. Il nostro viaggio-inchiesta nell’abusivismo non poteva non far tappa a Rossano, oggi Corigliano-Rossano, per raccontare una storia che è in controtendenza con buona parte del territorio calabrese. Qui, sulle coste bizantine, care a San Nilo e al leggendario Filottete, il fenomeno del cemento selvaggio è stato abolito da circa un ventennio. Da quando, all’inizio degli anni 2000 amministrazioni comunali coraggiosi, si rimboccarono le maniche, acquistarono un caterpillar e abbatterono tutte quelle case che usurpavano illegalmente il suolo demaniale e le spiagge.

 

L’abbattimento dell’ecomostro a Sant’Angelo

Un lungo cammino che, pur tra ricorsi e trafile giudiziarie, non si è quasi mai arrestato. E ancora oggi, con il governo commissariale della Città, si continuano a buttar giù ruderi ed edifici residuati di un passato poco glorioso. L’ultima grande opera di demolizione avvenne nel 2014, all’epoca dell’Amministrazione Antoniotti che al termine di un lungo iter giudiziario buttò giù un grande ecomostro in località Sant’Angelo, a due passi dall’antico Fondaco e dal centro storico marinaro bizantino.

Quella bonifica, che si consumò tra non poche polemiche e tra la vibrata protesta dei proprietari dell’edificio, consentì alla comunità rossanese di riappropriarsi di uno spazio sociale, oggi riqualificato e divenuto il centro della movida estiva.

 

La storica campagna di demolizione a Torrepinta

Questo fu l’ultimo grande caso, ma prima ci fu – lo dicevamo all’inizio – la lunga e storica campagna di demolizioni a contrada Torrepinta dove, negli anni ’70, uno degli angoli di costa più belli ed incontaminati del litorale ionico, per oltre due chilometri, venne selvaggiamente violato dal cemento. Chi ha memoria di quegli anni ancora ricorda che c’erano case costruite a meno di 20 metri dalla battigia con ingresso privato in spiaggia e con il mare che con le bonacce d’inverno faceva sempre capolino nelle verande. Una cosa obbrobriosa, soprattutto se si pensa  che quelle abitazioni estive, villette a due piani con tanto di patio, cancelli per il posto auto, barbecue e alberi lussureggianti piantati nei dintorni, vennero messe su senza alcuna autorizzazione, senza alcun controllo, senza alcuna licenza.

Chiunque, poteva scegliere di autointestarsi un pezzo di terra, scendere in spiaggia con quattro blocchi e mettere su, mattone su mattone, muri della vergogna… Finalmente ha prevalso il senso di legalità e grazie anche a dei finanziamenti pubblici straordinari si decise di passare alla bonifica. Fu così per Torrepinta, poi per Seggio e anche per Zolfara.

 

Villaggio Santa Chiara, «Un quartiere che oggi non sarebbe esistito»

Ma di fianco ad un’azione coraggiosa, a Rossano rimangono ancora tante criticità, probabilmente insanabili, di case ed interi quartieri a rischio regolarmente realizzati, con tanto di permessi e concessioni. Un caso emblematico, su tutti, è il quartiere di Villaggio Santa Chiara, nella città alta. Sorto alla fine degli anni ’60, su un pianoro poco fuori il centro storico dove un tempo sorgeva l’antico cimitero cittadino. Era il tempo del boom edilizio in una Rossano che sul territorio e in Provincia era punto di riferimento dei principali servizi. È così che in quella zona sorsero decine di palazzi, anzi, palazzoni a 8 piani e lunghi decine di metri.

 

Treni di cemento che ancora oggi si scorgono dagli orizzonti più lontani. Allora, però, si badava più all’utile che alla sicurezza. Non  c’erano i vincoli idrogeologici, non esistevano i piani di caratterizzazione, non c’erano le stringenti regole urbanistiche che oggi, invece, non avrebbero mai e poi mai consentito di realizzare quel quartiere. «Non sono case abusive quelle di Villaggio Santa Chiara – ricorda Tonino Caracciolo, coordinatore del Piano per il rischio del dissesto idrogeologico in Calabria – ma sicuramente oggi quelle case lì non sarebbero mai esistite perché sono costruite su un terreno ad alto rischio di dissesto idrogeologico».  E prova di questo ne è che ci sono palazzi che oggi hanno le loro fondamenta a tre metri dal dirupo e che quando furono costruiti nei dintorni avevano ampi spazi. «Frutto – spiega Caracciolo – del lavoro dell’acqua e del naturale degradare della roccia e dei terreni. Se al tempo delle costruzioni si fossero avute le conoscenze odierne, tutto questo non esisterebbe».

 

«Le case sono sicure ma rischiano di rimanere in bilico su un dirupo»

E allora che si fa? «Beh, certo – chiosa – di fianco ad una proficua ed imprescindibile azione di prevenzione dal dissesto idrogeologico, sarebbe opportuno intervenire con delle opere di risanamento, perché se è vero che i palazzi di Santa Chiara poggiano su una roccia abbastanza resistente che sicuramente non crea rischi per l’incolumità delle persone, è altrettanto vero che questi edifici, se non si interviene, rischiano di rimanere come delle isole su un cucuzzolo, senza nulla attorno». Insomma, in bilico su un dirupo.