La prima cosa che colpisce è il colore delle colline: il verde pallido che degrada verso il giallo e il marrone, tipici dei calanchi ai piedi dell’Aspromonte, ha lasciato posto ad un fondale nero e grigio, bruciato dalle fiamme che da giorni strozzano il territorio reggino. Poi arriva l’odore: fortissimo, penetrante, disgustoso. Odore di terra bruciata, di plastica, ferro e carne andata in fumo.

Leggi anche

Decine i roghi partiti a chilometri di distanza l’uno dall’altro che hanno assediato case, attività produttive, vecchie discariche in disuso rimaste come bombe inesplose sul territorio. Uno stillicidio di fuochi che, seguendo la linea della costa, si è fatto strada attraverso la città dello Stretto rimbalzando sul versante tirrenico della provincia e affondando anche verso la montagna, già colpita nei giorni scorsi da un fronte esploso nel cuore d’Aspromonte, tra la cima di Montalto e il santuario di Polsi.

Melito, Motta, Roghudi, Lazzaro, ma anche la collina di Pentimele e la prima periferia della città. E ancora, risalendo la costa, le colline alle spalle di Villa e su fino alla costa Viola. Una cintura di fuoco e fumo che si è mangiata ettari di vegetazione spontanea, attaccando campi coltivati e frutteti. Una cintura di fuoco che ha impegnato (e continua impegnare) decine di squadre antincendio che hanno lavorato fianco a fianco con le squadre della protezione civile e con tanti degli abitanti dei territori minacciati dalle fiamme, che hanno sgobbato per ore per salvare il salvabile.

Leggi anche

La mappa in (quasi) tempo reale fornita dall’osservatorio Copernicus – il servizio satellitare gestito dall’Europa che monitora il fronte degli incendi su tutto il territorio dell’Unione – mostra come siano ancora molte le zone critiche su tutto il territorio provinciale. Decine di macchie rosse dietro cui, inevitabilmente, si cela la mano dell’uomo, in un copione che va in scena con disarmante regolarità ogni estate. Anche nel 2021, durante quella che è passata alla storia come la peggiore stagione degli incendi che si ricordi a memoria d’uomo, molti dei roghi partiti al di fuori dei confini del parco nazionale, si abbatterono nelle medesime zone.

A Saline le fiamme sono venute giù dalle colline, divorando campi coltivati e macchia mediterranea,  circondando il piccolo cimitero. Ne ha fatto le spese una delle piccole cappelle. E poco distante, le fiamme hanno minato uno dei muri di cinta dell’acquedotto cittadino che è rimasto comunque in funzione. Anche qui i residenti hanno dato una mano per contenere le fiamme che sono arrivate a toccare i giardini di diverse case, distruggendo anche un campo di calcio, rimasto anch’esso terra bruciata.

Ad altri è andata peggio, con i roghi che hanno causato morte tra gli animali di un’azienda zootecnica. In uno degli stabilimenti sulla costa poi, segnalano le guide del parco d’Aspromonte, era approdato anche un cucciolo di gufo reale. Stordito dalle fiamme e dal fumo, l’animale – un rapace notturno che nidifica su quelle stese colline divorate dal fuoco – era arrivato in pieno giorno tra gli increduli bagnanti, prima di scappare via verso il mare, terrorizzato.

A Capo d’Armi, anche gli uomini della marina che presidiano il faro più vecchio della Calabria, hanno dovuto lottare con i roghi che hanno circondato per ore la lanterna che, come per ogni faro operativo, non può mai essere spenta.

Leggi anche

A Pentedattilo – gioiello storico arroccato sulle colline di Melito e vetrina preziosa dei tanti borghi abbandonati della Grecanica – le fiamme sono arrivate verso le otto della sera di lunedì. Da dietro, scendendo la collina alle spalle di Sant’Antonio e da quelle vicine. Una corona di fuoco che ha minacciato da vicino il paese in cui attualmente – turisti dell’ospitalità diffusa esclusi – vivono in pianta stabile meno di dieci persone. «Il fuoco veniva dalle colline intorno al paese – racconta Domenica, che a Pentedattilo gestisce un laboratorio di pittura e si prende cura di una corposa colonia felina, “i pentegatti” – abbiamo dato una mano tutti per contenere i danni. Eravamo circondati, sapevamo che era solo questione di tempo prima che le fiamme minacciassero il paese e nessuno di noi si è allontanato. Poi, grazie all’aiuto delle squadre di protezione civile e a quello dei vigili che, a causa dei tanti incendi nella zona, sono arrivati per ultimi, siamo riusciti a salvare il borgo: tutti abbiamo dato una mano per cercare di spegnere il fuoco. Comunque è un classico di quando ci sono incendi da queste parti, le fiamme vengono sempre da dietro la roccia. La verità è che la montagna è abbandonata, non c’è controllo, non c’è manutenzione, non c’è pulizia e quindi ogni anno ci ritroviamo con queste situazioni».

Leggi anche

Gli ultimi fuochi vengono spenti poco dopo le due del mattino, Pentedattilo è salva. Tutto intorno però è solo terra bruciata.