Il nostro viaggio nella grande crisi della montagna, e di quella calabrese in particolare, ci porta da Antonio Nicoletti, calabrese, responsabile nazionale aree protette e componente della segreteria nazionale di Legambiente che coordina le attività di Legambiente Natura, la rete delle 60 aree protette gestite direttamente o in convenzione dall’associazione. 

Crisi climatica e montagne a rischio

Antonio Nicoletti (Legambiente)

Nicoletti è un fiume in piena. Con lui parliamo dei mutamenti climatici. E parliamo soprattutto delle montagne, che sono sempre più a rischio. Da qualche anno la neve e la pioggia sono sempre più eventi rari.

«La crisi climatica è una realtà che nessun negazionismo può esorcizzare, ma siamo nelle condizioni di invertire questa tendenza perché abbiamo gli strumenti e la conoscenza per rimediare alla crescita delle emissioni che sono di origine antropogenica. Abbiamo poco tempo per agire e dobbiamo farlo in fretta. Tocca a noi stessi, che siamo l’origine della crescita delle emissioni, scegliere per evitare quella che la scienza chiama sesta estinzione di massa».

Pollino, Sila, Serre e Aspromonte sono montagne sempre più a rischio. I parchi possono svolgere una funzione importante, ma anche la natura è importante per ridurre l'impatto del clima.
«Le nostre montagne, dal Pollino all’Aspromonte passando dalla Sila alle Serre, sono territori protetti da Parchi nazionali e regionali. Questa condizione è molto importante perché per questi territori abbiamo uno strumento operativo dedicato, cioè l’ente gestore dell’area protetta, che ha lo scopo specifico di tutelare la natura. Le aree protette hanno un vantaggio perché lavorano già per evitare che i loro territori degradino a causa dei cambiamenti climatici, ed hanno un ulteriore vantaggio perché possono “sfruttare” la natura che proteggono per attuare strategie di adattamento ai cambiamenti climatici». 

La natura è un potente sistema che assorbe CO2, e se la natura è ben gestita questa capacità di assorbimento aumenta.
«I parchi devono utilizzare quelle che la scienza chiama soluzioni basate sulla natura affinché nei loro territori l’impatto della crisi climatica sia minimo. Si può raggiungere questa condizione se si raggiunge la neutralità climatica. In uno slogan: passare da un circolo vizioso alimentato dalla crescita di CO2 a uno virtuoso costruito sulla natura e le energie rinnovabili».

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Il ruolo delle istituzioni

La regione dovrebbe svolgere un ruolo attivo. Così come gli altri Enti locali e nazionali. Pensiamo allo spreco dell’acqua che al 3O-40% perdiamo lungo le condotte vecchie di 70 anni.
«Le Regioni, i comuni e tutte le realtà che amministrano il territorio sono fondamentali per raggiungere la neutralità climatica e per realizzare la transizione ecologica. Tutti assieme e in maniera coordinata dovrebbero pianificare di più e gestire meglio le risorse naturali che, a partire dall’acqua, sprecano e mal gestiscono. La realtà della Calabria è difficile anche perché non abbiamo stabilità e qualità gestionale dei tanti enti che si occupano di politiche ambientali: sono commissariati i parchi marini e quello regionale delle Serre, l’Arpacal, l’Arsac, Calabria Verde, Il Consorzio Unico di Bonifica e l’Arrical che gestisce i rifiuti e le acque pubbliche, e ci sono commissari anche per i Siti da bonificare».

Questa precarietà delle governance di tutti gli enti pubblici regionali non può garantire nessuna qualità nella gestione.
«È così, si finisce per replicare scelte parziali e sbagliate perché fatte non da sistemi strutturati ma da singoli che di volta in volta si scambiano di ruolo e poltrona. Se pensiamo di ridurre lo spreco di acqua senza fare nulla per gestirla meglio siamo degli ingenui. Ma saremmo degli irresponsabili se pensassimo che senza una riduzione die consumi e degli utilizzi si potrà affrontare persino la prossima stagione estiva». 

Gli effetti dei cambiamenti climatici

 L’agricoltura è cambiata…
«Si ma spesso in peggio, perché consuma troppo acqua e ne spreca tantissima. Siamo una Regione ricca di risorse idriche e di bacini lacustri che però facciamo gestire senza da estranei senza che i territori posano trarre benefici concreti dalla ricchezza di risorse. Abbiamo creato Arrical per gestire in maniera unitaria la risorsa idrica ma chi i comuni che possiedono la ricchezza dell’oro blu sono stati esclusi dal comitato di indirizzo dell’ente regionale dove comandano i sindaci delle grandi città che non sono possiedono acqua e la sprecano più degli altri. Insomma i sindaci dei comuni montani si sono spogliati della proprietà delle sorgenti per conferirle in un ente, che oltre a essere commissariato fin dalla nascita, ha una governance che li esclude dalle decisioni. Un vero capolavoro!». 

Il riscaldamento globale ha portato sulle montagne temperature mai viste prima. Si stima che in Italia la temperatura aumenterà di altri 2,5 gradi entro il 2050. Le conseguenze sull’ambiente, sull’uomo, sull’agricoltura saranno devastanti.
«Il cambiamento climatico colpisce tutti i territori, ma non tutti si adattano allo stesso modo. Quelli più fragili come le montagne che sono interessati da ecosistemi naturali complessi- ghiacciai, alpeggi, pascoli, prati stabili, foreste, zone umide d’alta quota – sono più sollecitati e rischiano di più ma hanno anche una più alta capacità di adattamento. Può sembrare un paradosso ma proprio perché ricchi di fragilità, i territori montani hanno più risposte all’adattamento che richiede il riscaldamento globali ma non bisogna superare la soglia limite oltre la quale gli ecosistemi farebbero fatica ad adattarsi nel breve periodo». 

Gli scienziati indicano in 1,5° questa soglia che nel caso venisse superata e si avvicinasse ai 2° fino a 4,5° la perdita di biodiversità inciderebbe tra il 5 e il 16% delle specie a livello globale.
«Queste proiezioni ci devono preoccupare perché anche i dati misurati realmente sono preoccupanti: il 2023 è stato l’anno in cui la temperatura media è cresciuta di 0,17° ed è stato l’anno più caldo dal 2001 registrato dal sistema Europeo Copernicus, mentre già questo gennaio è stato il mese di gennaio più caldo degli ultimi anni». 

Per la nostra agricoltura di montagna ma anche in pianura, potrebbero aprirsi in futuro nuove opportunità e nuovi modelli.
«Dentro le crisi si possono trovare le risposte, ma si possono anche generare ulteriori criticità. E il sistema agricolo rischia molto perché chi decide, a tutti i livelli, sta scegliendo l’insostenibilità dell’agricoltura e dell’allevamento anziché puntare sulla innovazione e la qualità». 

Abbiamo assistito alle proteste dei trattori…
«...Che hanno scavato un solco con la scienza applicata all’agricoltura ottenendo che anziché ridurre l’apporto dei pesticidi si sceglie di aumentarli e per una regione come la Calabria tra le regioni leader nel biologico questo risultato ottenuto sarà un boomerang». 

Il Turismo potrebbe cambiare completamente faccia. Durante i mesi invernali arriveranno sempre meno gli appassionati degli sport invernali.
«Se passa l’idea che l’unica forma di turismo invernale è quella legata al turismo alpino e alle piste innevate, anche senza neve naturale, il turismo di montagna scompare. I cambiamenti climatici si devono affrontare con intelligenza ed i territori montani devono incamminarsi verso la transizione ecologica. Anche il turismo deve “attraversare il suo deserto” verso la transizione ecologica per rigenerarsi verso la sostenibilità. E’ tafazziano urlare che senza la neve sulle piste il turismo in montagna muore, perché avremo sempre meno nevicate e magari la neve naturale nei momenti meno utili per le vacanze». 

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Le possibili soluzioni

Ma abbiamo la necessità di trovare le alternative.

Nicoletti, Legambiente

«Le alternative le stiamo già praticando perché da oltre 10 anni facciamo i conti gli impianti di risalita che non funzionano e lo sci alpino, inadeguato alle nostre latitudini e per i nostri versanti poco estesi, è un sogno per gitanti della domenica. Perciò si punti sullo sci da fondo, ciaspole e sci alpinismo con strutture adeguate al loro servizio e assisteremo alla crescita dei numeri fin qui valorizzati da pochi pionieri».

Subito dopo la pandemia, le montagne sono state prese d’assalto. Anche in maniera caotica e pericolosa per l’ambiente. Con l’ulteriore aumento delle temperature si potrebbero ripetere quelle scene.
«I rischi di nuove pandemie sono valutati con terrore dai decisori politici, e non si stanno valutando adeguatamente tutti i rischi degli impatti dei cambiamenti climatici sull’economia. Sappiamo cos’ha prodotto il lockdown, abbiamo visto l’impatto che hanno avuto le alluvioni e il dissesto idrogeologico sulla vita delle persone e sui territori. Esistono report sulle migrazioni climatiche, causate dalla mancanza di risorse e di cibo, che preoccupano i Paesi ricchi e ad ogni G7 si discute dei rischi della perdita di servizi ecosistemici provocati dai cambiamenti climatici e dalla perdita di biodiversità». 

Ma questi dossier troppo spesso rimangono senza risposte.
«L’Ipcc, organismo consultivo dell’Onu sui cambiamenti climatici, ha predisposto scenari che raccontano di una crescita delle criticità per il Bacino del Mediterraneo che è tra le aree più calde (hot spot) per l’impatto dei cambiamenti climatici: l’aumento della temperatura dell’acqua crea condizioni meteo marine nuove e imprevedibili, con la crescita di fenomeni di instabilità e di uragani e tempeste e incidenza degli incendi e migliori condizioni di adattamento per le specie aliene. Il Mediterraneo è estremamente esposto ai cambiamenti climatici ed avrà una forte influenza sulle condizioni ambientali dell’intero bacino e del nostro Paese in particolare, ma nessuno sembra essere particolarmente preoccupato ad agire».

Antonio Nicoletti si occupa dal 1997 di aree naturali protette e conservazione della natura, di foreste e bioeconomia circolare e turismo sostenibile. Ha realizzato progetti nazionali ed europei sulla tutela della natura, le foreste e le aree protette e maturato una lunga esperienza nella programmazione comunitaria.