Il geologo calabrese Domenico Veneziano: «Oggi il territorio è molto più esposto al pericolo di alluvioni derivanti da forti piogge: complici la distruzione dei boschi e l’urbanizzazione senza criterio»
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Settemila incendi boschivi dal primo luglio, di cui più della metà concentrati nel mese di agosto. Numeri che hanno fatto parlare di record e che connotano un’estate in cui anche il caldo è stato da record. Temperature elevate che, oltre a mettere a dura prova la resistenza di ognuno di noi, hanno sicuramente agevolato il propagarsi dei roghi. Roghi che però non sono ascrivibili solo all’aria rovente dei giorni d’agosto, ma anche – e, anzi, soprattutto – alla mano umana che gli ha dato vita, come dimostrano gli inneschi e le taniche di liquido infiammabile rinvenute in più punti.
«Sono eventi che bisogna inquadrare all’interno di un fenomeno più complesso», afferma Domenico Veneziano, geologo originario di Corigliano-Rossano ma da diversi anni residente fuori regione e con diverse esperienze in progetti internazionali. «È solo uno degli effetti visibili della crisi climatica in atto: le ondate di calore intenso che aumentano la propensione alla diffusione degli incendi, agevolati dalla siccità. Ancora non abbiamo una percezione completa di quello che i cambiamenti climatici comportano».
Ma c’è anche un altro aspetto, oltre alla devastazione a cui abbiamo assistito in queste settimane. «Gli incendi – spiega Veneziano – contribuiscono a cambiare le condizioni climatiche locali riscaldando ulteriormente i territori e contribuendo alla creazione di anidride carbonica. Anche nel caso in cui a bruciare sia solo l’ambiente naturale, aumenta comunque l’anidride carbonica. Ma poi ci sono da mettere in conto i tanti ammassi di rifiuti abbandonati che purtroppo si vedono spesso, e lì ci sono materiali come le plastiche che bruciando producono sostanze altamente velenose».
Non solo i cambiamenti climatici, dunque, ma ancora una volta la mano dell’uomo anche nel moltiplicare gli effetti nefasti degli incendi. «Certo, a peggiorare la situazione, oltre alla siccità, ci sono l’incuria e l’abbandono del territorio: rifiuti, sterpaglie, oggetti e sostanze facilmente infiammabili che stanno dove non dovrebbero», prosegue il geologo.
Quali rischi
E adesso, accanto alla conta dei danni, parte la conta dei rischi. Quelli derivanti da un territorio compromesso in balia di un’estate che volge al termine e del maltempo che inevitabilmente arriverà. Spiega Veneziano: «I rischi sono quelli che si corrono tutti gli anni, quando – anche per effetto dei cambiamenti climatici – si osservano piogge molto intense che in poco tempo possono fare danni enormi laddove ci sono già dei problemi di base. In Calabria questi rischi sono legati indissolubilmente all’assetto idrogeologico che ne fanno una regione fragile».
«In questo caso poi – continua – un territorio martoriato dagli incendi è un territorio in cui l’acqua proveniente da eventuali forti precipitazioni raggiunge la superficie di un suolo impoverito e non protetto dalla vegetazione. In alcune zone particolarmente scoscese la copertura del suolo va da qualche decina di centimetri a pochi metri, per cui una pioggia abbondante e concentrata non riesce a essere assorbita e può creare dei ruscellamenti superficiali. In quei casi in cui lo spessore delle coperture vegetali è particolarmente ridotto, la capacità di permeare dell’acqua determina l’appesantimento della porzione di terreno che poggia su una superficie meno permeabile, fatta di roccia per esempio, aumentando la possibilità che queste porzioni di terreno si sciolgano e precipitino a valle per effetto della gravità poiché aumenta il peso ma diminuisce l’attrito della massa sulla superficie sottostante».
Rotto l’equilibrio con la natura
Gli effetti nefasti li abbiamo visti con i nostri occhi durante le diverse alluvioni che hanno colpito la nostra regione. «Il territorio calabrese è caratterizzato da pendenze elevate, pianure molto estese, canali e fiumare che spesso per l’incuria non vengono curati. La rete idrografica superficiale non è adeguatamente pianificata: tutto questo aumenta il rischio idrogeologico legato alla conformazione del territorio», dice il geologo che proprio sei anni fa, ad agosto, vide con i propri occhi la devastazione che colpì la Sibaritide a causa delle piogge intense.
Ma le piogge sono solo la causa scatenante di un equilibrio precario costruito nel corso degli anni, con interventi che hanno cambiato il volto delle nostre città spesso stravolgendo gli assetti naturali in modo tale da porre le basi a eventi del genere. «Alcuni sono legati a condizioni meteorologiche particolari – spiega Veneziano –, ma un ruolo lo hanno sicuramente le fattezze dei territori urbanizzati. In molti casi parliamo di un’urbanizzazione che ha messo al centro i capricci dell’uomo ignorando il necessario equilibrio con la natura. Basta guardare alcune foto aeree disponibili in rete per vedere canali la cui ampiezza è stata ridotta in maniera drastica e assurda o il cui corso naturale è stato deviato per assecondare le “necessità” dell’edilizia».
Si parla di “eventi eccezionali”, quando accadono. Ma, afferma ancora il geologo, stanno diventando talmente frequenti che per diversi studiosi non sono più da ritenere tali.
Controlli e prevenzione
Che fare, dunque? «Sicuramente chi amministra il territorio dovrebbe lavorare, durante tutto l’anno e non solo a emergenza ormai arrivata, a preparare il territorio a fenomeni di questo tipo e a prevenire eventi come gli incendi devastanti che ci hanno sconvolto quest’estate, ma che in realtà si verificano ogni estate», dice Veneziano.
«Servirebbe intanto – prosegue – una gestione adeguata della rete di drenaggio superficiale: fiumare, canali e torrenti. Poi la manutenzione in termini di pulizia dei luoghi e una valutazione dell’adeguatezza dei corsi d’acqua laddove sono stati stravolti dall’intervento umano. Questo per quanto riguarda le alluvioni. Sul piano degli incendi bisognerebbe anche lavorare molto sulla manutenzione del territorio, evitare l’accumulo di materiali facilmente infiammabili sul bordo delle strade, esercitare un controllo stretto sulle operazioni di pulizia nelle aree rurali e montane».
Invertire la rotta
C’è un modo, dunque, per provare a invertire la rotta di un territorio – e di un pianeta in generale – che sta andando incontro all’autodistruzione. «I cambiamenti climatici – dice Veneziano – sono un fenomeno globale, vari studiosi non riescono a prevederne tutti gli effetti, anche i modelli più complessi presentano ancora molte incertezze sugli scenari futuri. Per esempio, si stima che per la fine del secolo nel porto di Gioia Tauro il mare arriverà a una quota di circa 96 cm in più: il fenomeno di innalzamento del livello nel Mediterraneo sarà correlato ad altri eventi, come un’alterazione della salinità. Un altro dei fenomeni che si verificherà nelle nostre pianure sarà l’ingresso del cuneo salino (il movimento di acqua dal mare verso l'entroterra attraverso il sottosuolo), questo dovuto anche a un uso incontrollato delle acque di falda. Ecco: una delle cose che i Comuni dovrebbero fare è un controllo dei prelievi delle acque dal sottosuolo, delle reti di distribuzione e creare le condizioni per un uso più razionale della risorsa, modernizzando settori come quello agricolo dove ancora oggi sono diffusi metodi di irrigazione non più misurati con le esigenze del territorio».