Il presidente del circolo Nicà va ancora in Procura e avanza dubbi sulla reale causa del «disastro». Un “laghetto” di liquami altamente inquinanti scomparso dalla discarica da un giorno all’altro: «La semplice rottura di un tubo non giustifica una perdita di tale entità»
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Un nuovo esposto. L’ennesimo, da parte di chi non si rassegna al «disastro ambientale» che si sta consumando in uno strano e ingiustificato silenzio. Delle istituzioni, prima di tutto, Regione Calabria in testa, che a due settimane dallo sversamento di percolato dalla discarica di località Pipino a Scala Coeli, non ha ancora comunicato alle popolazioni interessate cosa sta facendo, se sta facendo, e cosa intende fare. In tanti – agricoltori, allevatori, rappresentanti di associazioni, consiglieri comunali e qualche sindaco della zona – da giorni stanno chiedendo di avere un cronoprogramma degli interventi previsti. Più volte è stata anche richiesta la presenza del presidente Roberto Occhiuto sul posto ma, al momento, tutto tace.
Ma se tutto tace ai piani alti, dal basso invece si leva insistente e indomabile la voce di chi da quel 22 giugno convive con la paura per la propria salute, per quella dei propri cari, e per le attività produttive che stanno già subendo i contraccolpi di quanto avvenuto.
Interventi improvvisati e precari
Il tempo è passato invano, insomma, perché «nella Biovalle del Nicà tutto è tale e quale», tuona Nicola Abruzzese che ormai preferisce parlare di ex Biovalle. «Se non si interviene con esperti del settore il disastro ambientale aumenterà di giorno in giorno».
Movimento, in zona, ce n’è poco. A parte quello di chi ogni giorno torna sul luogo del misfatto a controllare lo stato dell’arte e quello – minimo – dei mezzi che dovrebbero mettere in sicurezza il territorio. Ma la messa in sicurezza, finora, consiste solo in degli argini di terra creati nei torrenti e nel fiume Nicà per impedire al percolato – visibile in acqua – di andarsene in giro. Ma potrebbe bastare una forte pioggia per far finire tutto in mare. Senza contare la permeabilità dei materiali.
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L’impressione è quella di interventi improvvisati e precari e il problema è che nessuno, a livello istituzionale, ha finora pensato di smentirla. Giovedì sarà il giorno della manifestazione organizzata per accendere ancora più forti i riflettori su una vicenda che, man mano che si va avanti, rischia sempre di più di finire in sordina. Un’invasione pacifica ma parimenti arrabbiata sulla Statale 106 per chiedere la bonifica dei luoghi e il risarcimento a chi sta subendo i danni economici derivanti dall’inquinamento della zona.
Un nuovo esposto in Procura
Nicola Abruzzese intanto, il battagliero presidente del circolo Legambiente Nicà, rimette mano alla tastiera e scrive un altro esposto. Destinataria la Procura di Castrovillari. Un esposto che arriva alla luce del silenzio ancora imperante sulla situazione e di quello con cui sono state accolte le precedenti segnalazioni inviate tra ottobre e gennaio scorsi, che rilevavano la presenza di rifiuti sommersi e buchi nella recinzione dell’impianto.
«Dal sopralluogo effettuato il primo aprile scorso – sostiene Abruzzese – è emerso che, nonostante le scarse precipitazioni che hanno interessato la località “Case Pipino” del comune di Scala Coeli nei tre mesi antecedenti a questa data, i rifiuti abbancati risultavano ancora sommersi in acqua e il livello nel catino di discarica era rimasto pressoché invariato». Dal confronto tra le foto allegate all’esposto emerge che ciò che varia è invece la quantità dei rifiuti abbancati, che aumentano.
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Spariti 5.000 metri cubi di percolato
Lo stesso 22 giugno, il giorno cioè del sequestro della discarica, sono state scattate altre due immagini nello stesso punto, alle 12.37 e alle 12.38, anche queste allegate all’esposto alla Procura, in cui nella vasca non è più presente il percolato ma la differenza di colore del telo evidenzia il livello che aveva raggiunto.
Si può «stimare – sottolinea Abruzzese – che l’altezza del battente è superiore al metro, in contrasto con i dettami del D.Lgs 36/2003, inoltre l’elemento scuro che si vede nella foto è la parte a vista del sistema di aspirazione». E aggiunge: «Una stima sommaria e prudenziale porta a ritenere che il quantitativo di percolato presente in discarica al momento dello sversamento era di circa 5.000 metri cubi».
Una perdita nient’affatto irrilevante avvenuta in così poco tempo che, afferma ancora il presidente del circolo Legambiente Nicà, non può essere stata originata da «un malfunzionamento/rottura del tubo di aspirazione».
Nel progetto un impianto per il trattamento del percolato
E non solo. «All’interno dell’area della discarica, secondo le previsioni progettuali ci dovrebbe essere un impianto di trattamento del percolato a osmosi inversa», evidenzia Abruzzese. Trattamento che, per come indicato nel progetto, avrebbe dovuto produrre due flussi: «effluente liquido depurato» da recapitare «al punto di scarico indicato nella Tavola planimetrica» e «concentrato contenente gli inquinanti sottratti al percolato» che sarebbe stato «reimmesso in discarica».
«Ci si chiede: con un impianto del genere, progettato per il trattamento del percolato prodotto dalla discarica in loco – scrive l’ambientalista nel suo esposto –, come è stato possibile lo sversamento incontrollato?».
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Fuori la verità
Dubbi leciti che necessitano risposte. Per amore della propria terra e, non da ultimo, per amore di una verità che merita di essere accertata. Qualunque essa sia. Per il bene di tutte le persone coinvolte.
Nicola Abruzzese, dal canto suo, chiede alla Procura «di voler procedere, anche tramite gli enti e amministrazioni competenti, alle opportune attività di verifica in merito alle cause dell’inquinamento del vallone Pipino/torrente Capoferro affluente del torrente Patia/Cacciadebiti, del fiume Nicà e del mar Ionio al confine fra i comuni di Crucoli e Cariati e della conseguente moria di fauna ittica da esso derivante; di procedere, laddove accertati eventuali responsabilità in capo ad alcuno, alle necessarie azioni in sede penale e amministrativa».