Sbandamento. La parola giusta per descrivere lo status quo che attanaglia la Reggina, ingoiata da una crisi tecnica che non sembra voler avere fine. Gli amaranto hanno perso 7 partite nelle nove giocate nel 2023, dilapidando un percorso che aveva toccato vette altissime nella prima parte della stagione. Non era nei programmi, chiaro, lottare per la Serie A, ma l'issarsi fra i primi due posti per quasi tutto il girone d'andata era un messaggio chiaro al mondo Serie B: da parte di Inzaghi, della squadra, della società.

E invece, adesso sembra essersi spalancato l'abisso sotto i piedi dei giocatori vestiti d'amaranto. Male nelle prestazioni (vedi Cosenza) e/o nei risultati (vedi Parma): le ultime due sconfitte sono arrivate con modalità diverse, sì, ma sono arrivate. Gli zero punti raccolti fra Marulla e Granillo hanno fatto scivolare Ménez e compagni al sesto posto, alimentando l'isterismo di una piazza brava ad esaltare quanto a deprimersi. È il calcio, dopotutto, e ci sta che l'umoralità delle cose indirizzi pallone e gambe.

Il compito di Inzaghi

Pippo Inzaghi

Inzaghi si trova dinanzi a una matassa da dirimere. È evidente che il primo ad aver perso certezze sia proprio Superpippo. Il volto, le parole, il linguaggio del corpo dell'allenatore della Reggina raccontano di un professionista in difficoltà, che si trova sempre a un passo dal riuscire a tornare quello del girone d'andata, salvo sbattere sull'episodio negativo. «Ci gira tutto storto» l'abbiamo sentito dire dopo Parma, ma anche in diverse altre sconfitte. Si, è vero: alla Reggina la sorte sembra aver voltato le spalle dall'inizio dell'anno solare, ma questo non può essere un motivo per cestinare parte di un campionato che, ad oggi, resta positivo. Il sesto posto darebbe l'accesso alla zona playoff, ma non è a questo che deve mirare la formazione dello Stretto, che ha dimostrato di avere tutte le carte per far anche un percorso più brillante.

Quello che sta succedendo alla Reggina, del resto, sembra un po' quello che qualche settimana fa è successo al Milan di Stefano Pioli. Una squadra condizionata da un momento non facile, capace di inanellare quattro-cinque settimane difficilissime, rianimatasi grazie al lavoro mentale e tattico del mister emiliano. Il Milan si è rimesso in piedi, in Serie A e Champions League (al netto del ko di Firenze), con tre fattori: il passaggio a un modulo che dà più certezze a chi vive momenti difficili (il 3-4-2-1), il talento dei suoi singoli, i risultati positivi che sono scaturiti dai primi due punti.

Analogie e possibilità

La Reggina può imitare i rossoneri? Assolutamente sì. L'idea della difesa a tre non sarebbe affatto insensata, se si pensa a una linea con Cionek, Gagliolo e uno fra Di Chiara e Camporese. Darebbe forza a un centrocampo in cui Majer, Hernani e Fabbian vivono un momento di flessione fisica, metterebbe accanto a Ménez una punta di peso (Strelec, Gori o Galabinov) in grado di poter aprire gli spazi che, nelle ultime settimane, sono stati chiusi per gli amaranto.

Chiaro, non ci si intende sostituire a Pippo Inzaghi: lui è un allenatore, chi vi scrive è un semplice giornalismo. Ma la ricetta della rinascita va trovata e si può trovare, perché non è immaginabile che questa squadra abbia dimenticato come si giochi a calcio. Del resto la prestazione col Parma è arrivata, sono mancati solo i punti. Dal ritrovare quelli passa la guarigione vera della Reggina, andata in fumo nel recupero del derby con il Cosenza. Serve ritrovare le proprie certezze, magari anche dimostrando la capacità di adattarsi al vento contrario, prima di rispalancare le vele, navigando verso un finale di stagione che possa esaltare un popolo che, nonostante tutto, continua a seguire e incitare questa squadra.

[Foto di Valentina Giannettoni]