Il Piedino d’Oro che fece innamorare i tifosi delle Aquile scherza sul suo successore: «Prima deve raggiungere 11 campionati». E parla anche del Cosenza: «Non è una brutta squadra ma senza dirigenza non si va lontano»
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Massimo Palanca in un'immagine storica. Si ringrazia per la foto Roberto Talarico
In totale 478 presenze nei campionati professionistici, di cui 147 in Serie A, con 115 gol messi a segno (39 nel massimo campionato nazionale e senza dimenticare le 36 presenze e i 22 gol in Coppa Italia. In bacheca inoltre quattro titoli di capocannoniere: nel 1973/74 con la maglia del Frosinone in Serie C (18 gol); nella stagione 1977/78 con il Catanzaro in Serie B (18 gol); nella stagione 1978/79 sempre con il Catanzaro in Coppa Italia (8 reti); nella stagione 1986/87 ancora con il club giallorosso in Serie C1 (17 gol).
Sono i numeri di Massimo Palanca, personaggio emblematico di quel Catanzaro che, a cavallo tra gli anni ‘70 e ‘80, fece innamorare diverse generazioni e simbolo di un amore, quello con il Catanzaro, che va oltre lo sport e i novanta minuti in campo. Il Piedino d’Oro, (così era chiamato) sposò calcisticamente quella squadra e quella città, e in nessun altro luogo riuscì a esprimersi così bene come faceva in quella che era casa sua, e dove lui ne diventò cittadino onorario.
L’inizio della carriera
Parte da lontano la storia dell’attaccante che rubò il cuore dei catanzaresi, dal momento che siamo nel 1972. Proprio Palanca però, in esclusiva ai microfoni di LaC News24, ripercorre la sua carriera tra ricordi e vittorie: «Mio padre era il custode del campo sportivo di Porto Recanati e dunque io sono cresciuto a pane e pallone dal momento che, una volta finita la scuola, andavo al campo a giocare tutto il giorno. Porto Recanati, inoltre, all’epoca era un paesino di pochi abitanti ma che ha sfornato una percentuale importante di giocatori che hanno solcato la Serie A e la Serie B. Nel 1973 si sono aperte le porte del professionismo grazie al Frosinone, una società a cui devo molto poiché mi ha spalancato le porte del calcio e mi ha fatto crescere sia come giocatore che come uomo. In quegli anni disputavamo il girone C di Serie C che era il più difficile dei raggruppamenti».
Una stagione intensa la sua, culminata con la vittoria della classifica marcatori (18 centri) divenendo così oggetto del desiderio di molte squadre nel mercato estivo: «Inizialmente ero destinato alla Reggina dal momento che Oreste Granillo, prima della fine del campionato, prese accordi con il Frosinone per il mio trasferimento. Io però misi una clausola, ovvero l’annullamento dell’accordo se la Reggina fosse retrocessa perché a parità di categoria, preferivo rimanere a Frosinone. Quell’anno la squadra amaranto retrocesse e allora si fece subito avanti il Catanzaro che era già pronto, dal momento che per molto tempo mi fece seguire da un personaggio storico come Umberto Sacco che chiuse la trattativa. Era la stagione 1974/75 e devo dire che il primo anno in giallorosso fu molto difficile e non riuscì a esprimermi come avrei voluto. Nonostante ciò in quell’anno sfiorammo la Serie A nello spareggio perso contro il Verona, e lì ci rimasi molto male. L’anno dopo però salimmo direttamente, a conferma di come da una delusione può nascere una vittoria».
Palanca e Iemmello, ponte tra generazioni
Il Catanzaro di Palanca prima, il Catanzaro di Iemmello adesso. A ogni epoca il suo Re, anche se entrambi sono riuniti in un emblematico murales come ponte tra due generazioni. Lo stesso Palanca, però, non vuole saperne di paragoni: «Iemmello? Deve arrivare prima a undici campionati. Scherzi a parte, non bisogna mettere a paragone una squadra, un personaggio o una società soprattutto se appartengono a due epoche diverse. Il mio era un altro calcio, ma auguro a Pietro di fare tanti altri gol non per raggiungere me, ma per dare soddisfazione e fare felice la gente di Catanzaro. Faccio il tifo per Pietro Iemmello perché attualmente è l’elemento di spicco della squadra, senza nulla togliere agli altri, ma è sicuramente consapevole che senza l’aiuto di squadra non può fare la differenza. Io vinsi il titolo di capocannoniere di Serie B, Serie C e Coppa Italia grazie ai miei compagni che mi supportavano. Da soli si fa ben poco» .
E poi: «Il Catanzaro sta facendo un grande percorso e finché ci saranno delle basi solide, allora nulla è precluso e la Serie A anche possibile. In tutti gli anni vissuti a Catanzaro, ho attraversato momenti brutti e momenti belli ma che ti aiutano a crescere. Ho un legame forte con questa città e molti mi davano del matto, ma per me la città più famosa del mondo. Ho amicizie che sono maturate lì, inoltre è nato anche mio figlio».
Il rapporto con la Nazionale
Un’epoca piena zeppa di campioni, e che probabilmente fa rimpiangere la Nazionale calcistica di oggi. Ed è proprio in quell’abbondanza che Palanca visse, cercando di sgomitare per un posto nella lista di Enzo Bearzot: «Nella mia epoca il capocannoniere della Serie A era Pruzzo ma aveva difficoltà a giocare in Nazionale poiché davanti aveva gente come Rossi, Bettega, Graziani e Altobelli. Tutta gente che da lì a poco divenne Campione del Mondo. Purtroppo figure come io, Pruzzo o Selvaggi eravamo dietro di loro ma proprio per questo non ho alcun rammarico poiché avevo davanti gente più forte di me. Io sostengo sempre che bisogna lavorare dal basso ovvero dall’Under 15, dall’Under 16 e dall’Under 17 se si vuole risollevare la Nazionale».
Catanzaro e Cosenza oggi
Non poteva mancare un pensiero sull’attuale Serie B, e per un Catanzaro che sembra be avviato al suo secondo play off consecutivo, c’è un Cosenza che vede sempre più tangibile lo spettro della retrocessione: «Per il calcio calabrese la possibile retrocessione del Cosenza sarebbe un danno enorme – afferma Palanca - la differenza tra le due società, a mio avviso, sta nella stabilità societaria anche perché il Cosenza alla fine non è una brutta squadra e quest’anno ha perso partite dopo aver sprecato innumerevoli occasioni durante la gara. Dunque è mancata quel pizzico di personalità, anche a livello societario come dimostra l’esonero e poi il richiamo di Alvini dopo poche settimane. Il Catanzaro invece in estate ha chiamato Caserta tra la perplessità generale, e al momento sta avendo ragione la società. Il presidente Noto ha sempre difeso tale scelta, ma in generale quando si sceglie un allenatore lo si deve difendere se si crede in lui. A Cosenza è la dirigenza che è mancata».