A un passo dai 300 gol in carriera, oltre 500 presenze su un campo da calcio e un’unica maglia. Sì, perché Giovanni Galletta, è più che un calciatore del Brancaleone, anche più dell’essere capitano o recordman di presenze. Giovanni Galletta è l’anima e il cuore della squadra rossoblù. Classe 1982, ha indossato la maglia del Brancaleone sin da bambino, anche grazie alla passione trasmessa da papà Enzo, che del Brancaleone non solo è stato giocatore ma anche presidente per quasi trent’anni, prima della sua prematura scomparsa nel 2009. Oggi Giovanni indossa con orgoglio quella stessa maglia nel campionato di Eccellenza, girone A

«Questa maglia per me rappresenta la mia casa, la mia famiglia, come lo è stato per mio papà - racconta ai nostri microfono l’attaccante, che tra i compagni di squadra ha anche il fratello Daniele e il cugino Simone -. Sto cercando di continuare ciò che ha fatto lui, anche se naturalmente non è facile perché quello che ha fatto lui a Brancaleone è irripetibile. Faccio tesoro dei suoi insegnamenti e sento al tempo stesso una grande responsabilità, però farò il massimo insieme a tutti i dirigenti, che prima di tutto sono degli amici. Questa è una squadra a conduzione familiare». 

Un calciatore con un gran senso del gol, capace di prodezze degne di categorie superiori. Ambizione, determinazione e voglia di essere un esempio per i compagni, che in lui riconoscono i valori di un calcio d’altri tempi fatto di bandiere in campo oltre che sugli spalti. «Il calcio è cambiato  - spiega - tanti ragazzini non vogliono fare i sacrifici che abbiamo fatto noi e che hanno fatto quelli prima di noi. Le cosiddette bandiere oramai sono sempre meno e credo non ci saranno più».

Giovanni Galletta però in questo calcio ha ancora tanto da dire e soprattutto da dare al suo Brancaleone, sulle orme di papà Enzo e con lo stesso amore per il pallone: «Un ricordo particolare è Brancaleone-Palmese, nel ’97. Era la mia gara d’esordio. Ho segnato, c’era mio papà a bordo campo con le lacrime agli occhi e c’è stato un abbraccio tra padre (presidente) e figlio».

Una carriera, quella nel mondo del pallone, che ha permesso a Giovanni anche di fare degli incontri che per lui hanno significato molto: «Ci sono tre persone, tre amici, che purtroppo non ci sono più e che mi sono rimasti nel cuore. Il primo è Pietro Sofi, allenatore che mi ha fatto esordire in quella famosa partita nel ’97. Poi ci tengo a ricordare Rocco Brando, eravamo compagni di squadra, dopodiché è diventato allenatore quindi ho condiviso con lui tutto questo percorso. Infine un pensiero va a Claudio Roccamo, dirigente ma soprattutto amico».