Chi ama lo sport non può non conoscere il giornalista cosentino Francesco Repice. Da oltre vent’anni lavora come radiocronista in Rai, raccontando con entusiasmo travolgente i momenti più significativi ed emozionanti dei campioni del calcio, e non solo, che hanno fatto la storia. La sua voce ha fatto da cornice a tanti momenti di gioia capaci di unire un’intera nazione. Repice è entrato nelle case degli italiani per raccontare la finale di Berlino 2006 o l’ultima partita di Alessandro Del Piero con la maglia della Juve. È sempre lì, negli anticipi e nei posticipi della Serie A e delle Coppe europee. Repice c’è, con la sua voce inconfondibile, che attraversa lo schermo e trascina gli appassionati sul campo di gioco.

La lunga carriera

Francesco Repice nasce a Cosenza nel 1963, poi si trasferisce nella capitale. Da studente liceale diventa tifosissimo della Roma e comincia a sognare un futuro nel calcio professionistico. Il piglio c’è, ma il grande salto non arriva e trova la sua strada nel giornalismo. Alle fine degli anni ’90 fa il suo ingresso in Rai, poi entra a far parte della squadra di “Tutto il calcio minuto per minuto”. Il resto è storia. Quello che non tutti sanno è che Repice non ha mai reciso il legame con la Calabria, dove torna tutte le volte che può e dove in questi giorni sta trascorrendo il meritato riposo in vita delle prossime fatiche «che saranno tante, perché la stagione si prospetta molto impegnativa».

Sarà in Calabria anche a fine settembre, in veste di ospite di “Radio 100, il futuro è in onda”, un evento interamente dedicato alla radio in occasione dei suoi primi cento anni di vista in Italia. Lo ha voluto Umberto Labozzetta, amico e collega che, un giorno di pochi mesi fa, ha deciso di trasformare la cittadina di Praia a Mare in una radio a cielo aperto, coinvolgendo i principali protagonisti del settore.

L'intervista

Intervistiamo Francesco Repice in un afoso pomeriggio di fine agosto e ci accorgiamo subito che non sa ancora di essere un marziano, proveniente da un mondo alieno, o, se preferite, una leggenda vivente, non appena proviamo a rivolgergli la prima domanda: «Dobbiamo darci del tu, io sono semplicemente Francesco».

Va bene, Francesco. Hai scelto tu di diventare un radiocronista o un lavoro arrivato per “caso”?
«Io sognavo di fare il calciatore. Ma non sono mai arrivato ai livelli e non perché mi sia fatto male. Lì potevo arrivare e lì sono arrivato, più di quello non avrei potuto fare. Però sono soprattutto un tifoso e per rimanere in quegli ambienti non avevo altra via che il giornalismo».

Hai un curriculum lunghissimo. Qual è stata la tua esperienza più emozionante? 
«Quella al seguito della nazionale di calcio ai mondiali di Germania 2006 (l'Italia vinse il campionato del mondo, ndr) mi è rimasta dentro. Ma non ci sono solo le emozioni che ti rendono felice, ci sono anche quelle che ti rendono triste».

Ad esempio?
«L’addio di Francesco Totti al calcio. Dover fare la diretta di quella partita per me è stato straziante. Totti è un ragazzo perbene, è stato una fortuna per il calcio mondiale. Anche oggi, che non gioca più, l’amore dei suoi tifosi non è cambiato. È stato un giocatore eccezionale, ma soprattutto un ragazzo pulito, acqua e sapone, si è fatto voler bene. Quella telecronaca mi ha lasciato una grande emozione, così come la radiocronaca di una finale di Champions League a Londra tra il Manchester United e il Barcellona, per quello che accadde. A parte la bellezza della partita e i grandi campioni che c’erano in campo, quella sera c’era anche Abidal (Eric Abidal, operato due mesi prima di tumore al fegato, ndr) che entrò in campo dal primo minuto». La partita poi fu vinta dagli spagnoli per 3-1. «Vedere i cambi di Guardiola e vedere Carles Puyol che cede la fascia di capitano e dice ad Abidal “È tua”, lui risponde “No, rimane sul braccio” e Puyol replicano “No, la coppa la alzi tu”… Queste partite si ricordano».

È vero che, nonostante il successo, non hai mai mai reciso il tuo legame con la Calabria?
«Mai, assolutamente. Anzi, credo che tra un po’, quando andrò in pensione, la Calabria tornerà ad ospitarmi definitivamente. Ho intenzione di tornarmene a casa, a Tropea, che è il mio luogo della mia anima. Ho una casa qui, era dei miei genitori. Ma Calabria per me significa Cosenza, significa Locri, per gli amici della Locride, significa Rogliano, per gli amici di Rogliano. Calabria per me significa casa, è la mia terra. Io non sono di origini calabresi, io sono calabrese».

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Tra qualche giorno sarai ospite a “Radio 100, il futuro è in onda”, un evento organizzato dal giornalista Umberto Labozzetta dedicato ai cento anni della radio, che si terrà a Praia a Mare. Cosa ti ha spinto ad accettare, nonostante gli impegni? «Per me ogni scusa è buona per tornare in Calabria, poi l’occasione è ghiottissima. La radio è il mezzo grazie al quale nella vita ho raggiunto qualche risultato, qualcosa di cui non faccio mai a meno. Per cui, partecipare sarà bellissimo».

Sappiamo che sei legato a Umberto Labozzetta da una profonda amicizia. Com’è nato il vostro rapporto? 
«Lui frequenta spesso la città di Milano e l’ho frequentata molto anche io negli ultimi anni, anche per il fatto che Milan e Inter negli ultimi tempi sono andati molto forte. Ci siamo incontrati lì. Poi un giorno Umberto mi ha invitato a un evento particolare, sempre riguardante la radio, e da quel momento abbiamo cominciato a coltivare la nostra amicizia».

Cento anni e sempre sulla cresta dell’onda, non tramonta mai. Qual è il segreto del successo della radio?
«Io credo che sia dovuto al fatto che la radio ti insegue. Il suo grande appeal è determinato da questo. Se sei appassionato di cinema o di teatro, non puoi rimanere inchiodato davanti a uno schermo o una scena 7 giorni su 7, 365 giorno all’anno. Con la radio no, tu puoi ascoltarla di continuo e continuare a vivere, a fare tutto quello che vuoi, la radio è sempre lì. Pensa che i momenti più belli per me, oltra a quelli trascorsi con mia moglie, i miei figli e i miei nipoti, sono quelli in cui vado pescare tra le isole Eolie e la Calabria e la radio in sottofondo mi racconta quello che sta succedendo nel mondo. La radio ti fa lavorare di immaginazione, sviluppa la coscienza critica, cosa difficile da sviluppare con altri mezzi di comunicazione».

Che cosa consiglieresti a un ragazzo o una ragazza di vent’anni che vuole intraprendere la tua stessa carriera?
«Gli direi quello che ci raccomandava Sandro Ciotti (storica voce di “Tutto il calcio minuto per minuto”, ndr). Ci diceva di leggere tutto, libri, giornali, romanzi, narrativa, saggistica, pubblicità, persino le scritte sui muri. Diceva sempre di portare con sé uno zaino ideale e di riempirlo di parole. Diceva: “Una parola vi salverà nel corso di un racconto radiofonico di un evento”. Uno degli esercizi che ci facevano fare i grandi maestri era quello di metterci davanti a un muro e chiederci di fare la radiocronaca. “Ma di cosa?”, chiedevamo.  “Ah, non lo so”. E bisognava farla. Non esiste esercizio giornalistico più efficace di riuscire a raccontare quello che accade e riportarlo disegnando le parole, usandole come un pennello, come una macchina fotografica, per imprimerle nella mente di chi ti ascolta».

Traspare un entusiasmo incredibile. Come lo hai coltivato dopo tutti questi anni?
«Mia moglie dice sempre che è un hobby ben retribuito e credo che non abbia tutti i torti. Fondamentalmente io racconto partite di calcio. Immagino quanti ragazzi della mia generazione sono stati e sono tuttora bravi quanto me o più bravi di me, ma magari non hanno avuto la mia stessa occasione. So quanto io sia stato fortunato e la fortuna bisogna ringraziarla, bisogna essere grati. Ogni tanto bisogna anche guardare indietro per capire da dove si è partiti».

Hai detto che quando andrai in pensione tornerai definitivamente in Calabria. Hai già dei progetti?
«Qualcosa farò sicuramente, sempre qualcosa legato al teatro, al cinema, all’arte, magari alla scrittura. Voglio far conoscere la mia terra. Oggi si parla sempre delle stesse cose, come se in Calabria ci fosse solo “quello”, come se poi il problema fosse solo qui. Questa è una cosa che mi fa molto ridere. Io invece voglio raccontare altre storie. Mi sto già impegnando a teatro, per due anni porterò in giro per l’Italia lo spettacolo “La voce degli Eroi”, cioè la voce di coloro che hanno raccontato eventi sportivi che hanno fatto la storia del giornalismo. Quando tornerò in Calabria farò sicuramente qualcosa di simile. Ho già in mente qualcosa».