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Un incontro eccezionale quello previsto il 2 novembre all’Università della Calabria, che vedrà la presenza dell’etnomusicologo, e filmaker statunitense Steven Feld. “Il suono e il senso” è il titolo della giornata di incontro e discussione in cui saranno coinvolti, oltre a Feld, tre personaggi di grande spessore, che hanno sviluppato originalissime ricerche sotto il suo influsso: Antonello Ricci, etnomusicologo che ha lavorato molto sul rapporto senso vista, e grande studioso dell’entourage musicale del crotonese; Sergio Bonazinga, etnomusicologo che interverrà sul paesaggio musicale siciliano e Nicola Scaldaferri, da anni collaboratore di Feld e grande ricercatore, che mostrerà un film girato con l’antropologo statunitense sulla sagra musicale di Accettura, in Basilicata. Un incontro di pochi interventi, 6 in un’intera giornata, in cui saranno proiettati anche due documentari, nulla di mondano, ma un’occasione unica per Cosenza.
L’importanza di chiamarsi Feld
Figura di riferimento degli studi etnomusicologi e di antropologia visuale, Steven Feld nasce come trombonista, ascoltando con Randy Brecker, uno dei più grandi tenorsassofonisti americani, i concerti di John Coltrane. Si trasferisce a Parigi dove collabora con il più grande antropologo visuale del ‘900, Jean Rouch, diventando suo allievo. Negli anni ’70 si sposta in Papua Nuova Guinea, all’interno del continente australiano neozelandese, per studiare il popolo dei Kaluli. Da questa lunga ricerca su campo nasce lo straordinario “Suono e sentimento” che segna in modo irreversibile i confini disciplinari dell’etnomusicologia, modificando la concezione di paesaggio sonoro, di forma d’ascolto, pratica compositiva e concetto di tradizione.
Uccelli, poetica e canzone: l’affascinante rito Kaluli
La popolazione Kaluli ha una singolare pratica funebre: quando muore qualcuno la comunità si raduna in una capanna nel mezzo della foresta in cui un ballerino professionista, travestito da uccello, canta a voce bassa una canzone. La capanna, aperta sulla selva, “raccoglie” tutto il suono della foresta mentre il danzatore-attore canta a voce bassissima una storia, quel racconto è l’identità del morto. Come un anagramma il danzatore rivela la vita di questo personaggio mescolando luoghi reali e luoghi immaginari, in questo modo qualcuno della comunità riconoscerà il proprio morto e potrà quindi cantare con lui per l’ultima volta dandosi l’addio. Questi rituali sono sempre stati studiati, ma Feld si fa una domanda affascinante: “Perché il suono della foresta? Perché cantare ad un volume così basso? Che cosa mette in gioco tutta questa storia?”. Scopre che questa musica è legata in modo molto stretto al paesaggio sonoro in cui il rito si compie perché, per i Kaluli, le voci della foresta (ovvero il canto degli uccelli) non sono altro che i canti dei morti che si rivolgono ai vivi. Ogni vivente abita in mezzo alle voci dei morti che gli si rivolgono e che vogliono essere salutati: Feld scopre che il mito fondativo della società Kaluli è il lamento e la paura dell’abbandono. L’antropologo statunitense continua a fare immense ricerche sul paesaggio sonoro del popolo dei Kaluli producendo un famoso documentario che gira ancora per l’Europa dal titolo “Voices of the Rainforest”, un mediometraggio fatto di fotografie e suoni. I suoni vengono ripresi grazie ad un sistema di microfoni che s’indossa come un casco in grado di catturare tutti i rumori circostanti.
L’universalità sonora
Identifica un’altra cosa che mette in crisi i paradigmi consolidati dell’etnomusicologia: una delle categorie importanti della popolazione kaluli è Dulugu Ganalan (il suono che risuona al di sopra) ovvero che tutti i suoni sono in un paesaggio sonoro e tutti i suoni che ascoltiamo sono un intreccio tra fonti sonore. Noi siamo esposti a continui suoni che ci stanno intorno, dal vocio della gente che chiacchiera, al rumore della ventola di un pc, quello che in fenomenologia si chiama silenzio mormorante, ovvero la vita che abita il silenzio fatto di piccoli suoni. La categoria sembra una categoria esclusivamente kaluli perché non tutte le popolazioni hanno questa sensibilità sonora, è un problema di struttura dell’esperienza dell’ascolto. Ma Feld ascoltando un disco jazz di Miles Davis che s’intitola Nefertiti, un disco in cui i suoni si sovrappongono, si staccano e si separano, suonato in maniera sfalsata, scopre che non esistono le musiche semiologicamente separate una dall’altra perché non esiste una mediazione culturale, esiste la musica che si media in mille definizioni.
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Il periodo ghanese
Lo spirito di ricerca porta Feld per 5 anni in Africa a studiare la musica del Ghana. Qui scopre una tradizione musicale ricchissima, decide però di vivere nelle periferie dove inizia a conoscere dei personaggi straordinari. Da questa esperienza nasce il secondo libro: “Jazz Cosmopolitanism in Accra”, un’ambiziosa operazione a cavallo tra reportage, saggio e autobiografia, rivolta al lettore curioso di addentrarsi in storie di jazz, Africa e incontri. Non ancora disponibile in lingua italiana, “Jazz Cosmopolitanism in Accra” è un libro picaresco in cui girando per i sobborghi si incontrano personaggi e s’intrecciano storie. Tra questi un burattinaio, J.C. Abbey, di recente scomparso, a cui verrà dedicato il convegno “Il suono e il senso”, che racconta la storia del Ghana attraverso dei burattini musicali: l’esibizione delle marionette è sempre accompagnata da un paesaggio sonoro prodotto da musicisti jazz.
Innesti contemporanei
Feld scopre che in Ghana ci sono molti musicisti occidentali perché molti ghanesi si trasferirono all’estero per motivi di lavoro, moltissimi per sopravvivenza. Nell’incontro con storie e personaggi scopre che i jazzisti ghanesi vivono le figure dei musicisti americani come delle mitologie, che John Coltrane per loro è un mito e che ci sono sassofonisti che disciplinano la loro vita in nome della musica spirituale di Coltrane. Scopre che Ghanaba (Guy Warren), il primo musicista africano a suonare con Charlie Parker, è considerato una figura di riferimento. Un altro singolare incontro è con un collettivo di suonatori di trombe da clacson (Por Por), una cooperativa di autisti di pullman si che riunisce e usa i clacson per scacciare gli spiriti maligni durante le cerimonie funebri.
Mentre è in America Feld viene a sapere che uno dei fondatori di questo gruppo è morto, va così in Ghana al funerale del suo amico. Entra per fare le esequie funebri e si commuove. Per molti ghanesi vedere un bianco piangere è una cosa incredibile: gli chiedono di raccontare una storia, un funerale che ricorda quelli musicali di New Orleans.
Steven Feld sconvolge letteralmente l’autorità dell’antropologo: la condivisione con i membri della band di un background musicale comune, la passione condivisa per Coltrane, è sicuramente un avvenimento singolare per l’antropologo che studia “altre” culture. Una vera e propria sfida del ricercatore moderno alle prese con società in cui livello locale e globale si intrecciano.