Per la Calabria un’esperienza collettiva amplificata dai social. Per il cantautore una maratona costellata di vurziceddre, scirubbetta e aneddoti esilaranti. Ecco gli highlights (ci sono anche Cecè Barretta e una teoria del complotto)
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Se non vi è bastato tutto Brunori dal vivo nell’ultima settimana, oggi proviamo a riassumere in un alfabeto l’esperienza collettiva che il cantautore ha donato alla Calabria. Nei cinque giorni di Sanremo abbiamo scoperto che tutti hanno un selfie con l’artista o un aneddoto da raccontare. Una partecipazione davvero nazional-popolare come vuole il Festival che Brunori (e anche Lucio Corsi) hanno portato su strade più indie, con testi ricercati e non banali. Infatti non hanno vinto, si potrebbe dire. Eppure centinaia di migliaia di persone hanno sposato la loro sensibilità e non può essere che un bene per la musica italiana. Ma vediamo cosa è successo dalla A alla Z.
Albero (delle noci). Esiste davvero, Dario Brunori è convinto sia d’ispirazione e sta proprio di fronte casa sua a San Fili. Illuminato, ripreso da un drone, citato dalle radio di tutta Italia: sta per diventare monumento nazionale e presto sarà meta di pellegrinaggio per i fan del cantautore che di tanto in tanto farà capolino dalla finestra per salutare e benedire* (vedi in fondo all’alfabeto).
Barretta, Cecè. Davanti all’endorsement del cantante folk che riempie le piazze calabresi, il terzo posto passa quasi in secondo piano. Da vera rockstar, con una punta di snobismo Barretta dice di non conoscere Brunori, lo definisce «una bella scoperta» e saluta il successo in Riviera del «compaesano». Chissà se ha spinto la sua sterminata fanbase a votarlo.
Calabria. «La Calabria riparta da Brunori» potrebbe diventare il nuovo tormentone sulla scorta dell’abusato «Il centrosinistra riparta da (nome a scelta)». D’altra parte il nostro alfiere a Sanremo lo ha detto spesso che la Calabria «è la locomotiva d’Italia» e Cosenza (sempre per stare alla lettera C) è la vera Seattle della scena musicale nazionale. Facciamo così: la Calabria ripartirà da Brunori ma diamogli tutti una mano.
De Gregori. Lo si è letto e riletto fin dalla prima esibizione: L’albero delle noci ricorda un po’ De Gregori. E qualcuno ha usato l’argomento per sminuire il valore del brano («eccolo lì, ha “copiato” Rimmel»). Risposta da numero 10 (quello con cui si è esibito nella serata finale): «Essere soltanto avvicinato a De Gregori è come se a un calciatore dicessero che somiglia a Platini (altro numero 10)». Uno a zero, palla al centro.
Esibizione. Dall’emozione della prima serata al sorriso aperto della terza («me la sono goduta»), nella dura settimana di Sanremo anche il rapporto di Brunori con il palco dell’Ariston è cambiato. Divertito, commosso e ispirato, il cantautore avrebbe preferito suonare di più: «Per l’ultima serata proporrò di cantare per un’ora e 40 minuti la stessa canzone», ha detto scherzando. Performance dal vivo (tutti gli altri hanno cantato in playback) anche nel classicissimo day after condotto da Mara Venier. Con perla finale sui suoi esordi musicali «per attirare l’attenzione con il chitarrismo da falò». Poi niente domande dei giornalisti ma non ce n’era bisogno: aveva già vinto anche il dopo Festival a Domenica In.
Faraone. “Conosco il sogno del farone. Le vacche grasse e le vacche magre”. C’è anche una citazione della Genesi nel testo de L’albero delle noci: è del passo in cui il faraone vede nel sonno sette vacche che pascolano tra i giunchi del Nilo finire divorate da altrettanti bovini malati. È una metafora dell’avvenire incerto che ciascun padre ha davanti a sé (“a tutta questa felicità io non mi posso abituare”)? Può essere. Di certo il versetto biblico contribuisce ad accrescere l’aura di santità attorno a Brunori (torna alla lettera A).
Guardia ’82. D’accordo, non c’entra direttamente con l’avventura sanremese ma un passaggio a dove tutto è iniziato non può mancare. Canzoni molto diverse perché si cambia e tra il primo disco e il nuovo album sono successe un milione di cose. Eppure si passa da un mare all’altro. Da quello di Calabria alla Liguria. Non mete finali ma nuovi inizi. Come nel brano che celebra la nascita di un amore e la fine di un’estate.
H. Niente parole con l’H, ne abbiamo una con la J per farci perdonare.
Improvvisazione. Quattro minuti di esibizione in diretta e una serata in giro con la chitarra per le strade di Sanremo. Saranno anche belle le luci del palco ma vuoi mettere improvvisare circondato da gente che intona le tue canzoni. Brunori lo ha fatto spesso e volentieri nelle notti festivaliere, con i nostri inviati in marcatura a uomo per catturare quei momenti. Alla fine ha dovuto suo malgrado ammettere davanti al pubblico: «Scrivo solo capolavori».
Joggi (lettera bonus, ma ora non aspettatevi anche la K). Qui c’è un pezzo di storia della famiglia Brunori. A Joggi, piccola frazione di Santa Caterina Albanese, il cantautore ha vissuto la sua infanzia. Qui sorgeva la fornace gestita dal padre di Dario. E lui, dopo i suoi studi in Economia a Firenze, avrebbe dovuto prenderne il testimone. Poi è andata in un altro modo ma questo centro minuscolo divorato dallo spopolamento gli è rimasto nel cuore, fin dai tempi (il 2011) in cui si esibiva alla festa di San Francesco di Paola. Senza l’iconica barba ma con la stessa band.
Luna. Piccola digressione musicale (non è uno spot) nel nuovo disco di Brunori Sas. Testo in dialetto e melodia struggente, Fin’ara luna è una delle tracce dell’album e parla di un distacco doloroso. Commuove ma strappa anche un sorriso: “Ti nni sì ghiuta senza fa' rumore/ E mm'ha lassatu sulu cca, cumu nu baccalà”.
Mozzarelle (di bufala). È uno degli aneddoti sanremesi regalati da Brunori alle radio. Tanto per chiarire che il Festival non può spaventare chi si è fatto le ossa nelle sagre di paese, il cantautore ha rievocato quella volta che si esibì sotto un sole rovente con il pubblico che gli lanciava liquidi refrigeranti non identificati mentre sul palco campeggiava una quantità indefinita di mozzarelle di bufala. Ariston, scansati.
Neve&Miele (questa stava alla S di scirubbetta ma era già occupata). “Sono cresciuto in una terra crudele dove la neve si mescola al miele” è diventato, ancora prima del primo ascolto, il verso più celebre de L’albero delle noci. Con tutto quello che ne consegue e cioè la particolare predisposizione calabra per la retorica che ha immediatamente trasformato la scirubbetta nel gelato più antico della storia, ovviamente nato in Calabria come ogni prodigio che l’umanità ha scoperto soltanto qualche secolo dopo.
Qualcuno ha anche visto il verso come un suggerimento per la sinistra affinché riparta dalle aree dimenticate del Paese. La sinistra riparta dalla scirubbetta: inedito assoluto (vedi lettera C).
Ossimoro. Nella sua esperienza all’Ariston, Dario Brunori si è pure seduto metaforicamente in cattedra e, da buon professore, ha analizzato le figure retoriche presenti nel suo brano in un’intervista a Radio Italia partendo dall’ossimoro “Vorrei cantare senza parole”. E con gli ossimori ci ha preso gusto, visto che “Il vero lusso è la povertà” è uno dei versi chiave di un altro pezzo dell’ultimo album, La ghigliottina. Il premio come miglior testo, d’altra parte, non si vince a caso. Il posto all’Accademica della Crusca (che lo ha premiato prima di Sanremo) è prenotato.
Paternità. È il tema in cui Brunori si infila con le parole giuste per raccontare gioie e paure di un rapporto profondissimo. Attorno alla piccola Fiammetta ruota tutto, nella vita come nel tenerissimo video che in cui la figlia di Dario e Simona diventa un sole che illumina la famiglia. C’è dentro l’universo del cantautore che riflette spesso anche sul rapporto avuto con suo padre e crede che servano anche figure di contrasto per rafforzare l’identità dei figli.
Riguardo alla sua esperienza di babbo (copyright di Fiammetta), la proverbiale umiltà non gli lascia dubbi: «Sono il miglior padre dell’universo».
Quinto (scalino). Il rischio sulle scale dell’Ariston è sempre dietro l’angolo. Anche Dario Brunori ha rischiato di entrare nella rosa degli infortunati: «Questa sera (sabato, ndr) ho sentito il quinto-sesto gradino che si è spostato – ha detto a Radio 2 dopo l’esibizione – e ho mi sono detto “porca miseria, vuoi vedere che cado”». Falso allarme: le articolazioni sono salde, gli scalini semoventi di Sanremo un po’ meno.
Riposo. «Sono un pantofolaio e questa settimana mi basterà per i prossimi cinque anni». Al prossimo Festival manca un anno e Brunori sente troppo la maratona appena terminata per pensare di tornarci. Ora c’è il nuovo disco da promuovere e poi il ritorno ai ritmi più sostenibili della vita a San Fili: ci sarà da gestire il pellegrinaggio all’albero delle noci ma vuoi mettere le centomila interviste al giorno tra radio e tv?
San Fili. Il Comune di residenza di Brunori ha dedicato quasi tutta la propria attività social dell’ultima settimana a promuovere la presenza del cantante a Sanremo. Per l’ultima serata l’amministrazione comunale ha cercato anche un aiutino esterno, piazzando una magara accanto al maxi schermo installato per vedere la finale. L’obiettivo (raggiunto): allontanare eventuali influssi negativi. Da segnare il record raggiunto nella serata delle cover, con quattro cittadini sanfilesi sul palco dell’Ariston: Brunori, la compagna Simona Marrazzo e il maestro Mirko Onofrio.
Televoto. Breve parentesi complottista sul voto finale. Nella notte tra sabato e domenica i social sono stati inondati di screenshot: in tanti si sono lamentati, avrebbero mandato l’sms con il numero 33 (quello di Brunori) a televoto ancora aperto ma il sistema li avrebbe rimbalzati. Cosa è successo? Non importa, in fondo meglio arrivare terzo che primo, ci sono meno responsabilità e non è detto che il vincitore resti nella storia. Se proprio dovesse servire, però, ci sono milioni di calabresi nel mondo pronti alla class action.
Unical. Qui è iniziato il viaggio e qui si tornerà il 20 febbraio per uno show di saluti e ringraziamenti. Sembra passato un anno perché Sanremo consuma ogni energia, eppure solo poche settimane fa Brunori raccontava con approccio disincantato le proprie speranze festivaliere. Il ritorno sarà più rilassato e si preannuncia un altro trionfo nell’ateneo a due passi da casa. Tra un po’ scade pure il mandato del rettore Nicola Leone. Un Magnifico Brunori? Mai dire mai, di questi tempi sarebbe un plebiscito.
Vurziceddra. A Radio 105 Brunori svela che è andato a Sanremo con un classico amuleto sanfilese, la vurziceddra, una borsetta utile a scacciare il malocchio. Un pezzo della tradizione delle magare, a metà tra sacro e profano: erbe e immagini di santi per un’arma della magia bianca donata al cantautore per proteggere il suo viaggio. Diventerà un accessorio irrinunciabile: il sindacato nazionale cantautori prenda nota.
Zanobini, Matteo. L’11 febbraio, con la sicurezza di chi conosce i suoi artisti, diceva a Repubblica: «Con Brunori e Corsi porto la qualità al Festival di Sanremo». E questo era (quasi) ovvio. Un po’ meno scontato il podio che i due artisti rappresentati da Matteo Zanobini avrebbero raggiunto al termine della serata finale. Se Marta Donà ha vinto con i suoi artisti quattro dei cinque ultimi Festiva, Zanobini ha quasi monopolizzato il podio. La rivincita degli outsider.
*San Brunori, protettore degli amori che nascono e delle estati che muoiono, si celebra il 31 agosto (vai alla lettera G).