«Se ieri sera non mi sarei levato la collana». Tony Effe in conferenza stampa ha detto proprio così, non è un refuso nostro, tornando sul caso di ieri che l’ha visto protagonista di un’arrabbiatura (per dirla elegantemente) apocalittica, per essersi visto togliere la sua collana da 70mila euro poco prima della diretta.

In mattinata la dirigenza Rai, in conferenza, ha chiarito l’incompatibilità tra le dirette del servizio pubblico e l’esposizione di marchi. E la collana aveva un marchio.

Ma Tony non ci sta, se l’è presa seriamente. «La collana può essere riconoscibile per il brand, è vero, io per esempio lo avrei riconosciuto», precisa il rapper, «però altri artisti sono saliti sul palco con lo stesso brand (ndr Sangiovanni l’anno scorso), è stato questo a farmi male. Ad altri è stato concesso».

A parte il teatro dell’assurdo in cui ci porta tutto ciò, tolti i pregiudizi generali, rimane un personaggio niente male. In sala stampa è stato assalito da domande farcite di giudizi, del tipo “la sua non è musica”. Lui se la prende, però non reagisce o meglio ci prova, ma non riesce a spiegarsi come vorrebbe. Però si comprende facilmente che è un artista pronto a mettersi in gioco. «Dovete sapere che poco prima di salire sul palco tutti mi chiedono foto e video, anche l’ultima persona che incrocio prima di salire, magari per il figlio o il nipotino».

Tony Effe è il fenomeno del momento, non è colto, lo sa e ha l’umiltà di voler imparare. Ha dichiarato ciò che altri non dichiarerebbero mai, cioè che sta prendendo lezioni di italiano, per potenziare la sua capacità di analisi e di creazione dei testi. Almeno lui lo ammette.

Canta come un cane, ma studia per migliorare e non è poco. Però rappa bene, si presenta alle conferenze sanremesi (a differenza di Fedez), si prende le domande scomode, lascia parlare i giornalisti quando i suoi collaboratori provano a stopparli. «Come parlo io, anche loro hanno il diritto di farlo». Insomma, c’è qualcosa, in lui.

«Damme ‘na mano mi sembrava un pezzo adatto al Festival, volevo avvicinarmi più a Sanremo che a me stesso e a ciò che ho sempre fatto. Mi piace mettermi in pericolo, alla prova. Alcuni dicono “fa schifo”, ci sta». Sui testi sessisti e misogini, «Fin da piccolo ho sempre ascoltato rap americano, non mi arrivava troppo il testo, ma mi dava energia, era di moda. Non credo che nella trap occorra focalizzarsi troppo sul testo, penso sia più una questione di sound».

Sulla cancellazione del concerto romano di Capodanno, per via dei suoi testi misogini, dimostra di averla metabolizzata. «È stato difficile, ho pianto, so che non posso mettere d’accordo tutti, ma ci sto male quando mi arrivano messaggi del tipo “chissà cosa pensa tua madre di te”. Non sono discorsi costruttivi, però poi ci penso e capisco che è una questione generazionale. È normale che la gente di una certa età non comprenda le passioni dei più giovani. Poi parlano anche i numeri. Se questa roba piace, non sono l’unico scemo». Non lo sei per niente, caro Tony.