Sono passati tredici anni dalla scomparsa di Mino Reitano. Il cantautore di Fiumara di Muro ha lasciato un segno profondo, con la sua voce inimitabile, nella storia della musica italiana. Umiltà, semplicità e purezza d’animo le doti che fanno di lui uno dei protagonisti della storia musicale del Paese. Lo vogliamo ricordare con un’intervista, realizzata, qualche anno fa, al fratello Franco, anch’esso scomparso ma che regala puzzle di vita in comune e fa comprendere chi fosse questo straordinario “ragazzo di Calabria”.

Trovandosi a tu per tu con Franco Reitano è impossibile non sentire vicino il ricordo, vivo ed attuale, di Mino, per il quale ha scritto il 50% del repertorio musicale. La casa reggina non porta con sé i tanti pezzi di vita vissuta col celebre fratello. In qualche angolo però, l’immagine di Mino insieme ad apprezzati riconoscimenti donati a Franco, fanno comprendere che la città di Reggio non sempre dimentica.

«Ho dedicato la mia vita alla musica – confessa Franco Reitano – ed alla nascita del personaggio “Mino”, sono stato il suo amministratore, il manager, il suo autore, l’ho consigliato dal punto di vista legale, abbiamo condiviso la partenza per la Germania, il ritorno, i momenti del successo, gli sono stato accanto per trent’anni». Poi, con un pizzico di tristezza, svela la sua assenza, il suo essersi “messo da parte” negli ultimi quindici anni, momenti in cui il cantante viene affidato alla moglie ed alle due figlie. Racconta, con non poco rammarico che, interpellato dalla trasmissione “La storia siamo noi”, insieme a personaggi dell’ambiente musicale degli ultimi trent’anni del calibro di Gianni Morandi, Renzo Arbore, non le aveva mandate a dire anche alla Rai, sul trattamento che, in alcuni scenette, era stato riservato al povero Mino, sbeffeggiato quasi da Enrico Montesano. Generoso fino all’inverosimile Mino, e Franco lo ricorda in una serie di aneddoti.

Come quando voleva cinquanta mila lire. “Cosa devi fare?” aveva chiesto incredulo Franco al fratello, all’uscita dell’hotel. «Mino avrebbe voluto dare quei soldi come mancia al portiere, buon padre di famiglia – afferma Franco – quando allora la prassi era dare mille lire. Alla fine siamo arrivati al compromesso e gli diede diecimila lire».

Torna sugli anni trascorsi per spiegare la simbiosi col fratello Mino: «Negli spettacoli, ci fossero anche stati centinaia di migliaia di spettatori – prosegue Franco accorato – io, da dietro le quinte, guardavo solo lui, e lui guardava me, ci capivamo subito, bastava un piccolo gesto, solo uno sguardo». Un rapporto profondo che Franco definisce «Unico nel suo genere, più stretto del legame tra due fratelli, un’intesa formidabile che avevamo sin da bambini e costituita in parte dalla grande fiducia che lui aveva in me. La mia sola presenza – chiarisce ancora – già gli dava sicurezza e tranquillità». Un rapporto mai oscurato da invidie o cattivi sentimenti, anzi «Ero orgoglioso – evidenzia Franco Reitano – di quello che lui era riuscito a costruire, era una persona che non litigava mai con nessuno, non ha mai dato vita ad una discussione, si può dire che, in famiglia, fosse il nostro punto d’unione».

La bontà di Mino e la severità (necessaria) di Franco che si compensano e che danno vita a quel fenomeno musicale, ma soprattutto da palcoscenico, che è stato Mino Reitano, forte ed audace nel suo contatto con il pubblico. Ben si comprende, dunque, a soli due anni dalla scomparsa, l’immenso dolore che ferisce Franco Reitano ed il grande rammarico perché «la sua malattia non è stata capita subito dai medici, che lo hanno curato per una polmonite atipica fino alla prima operazione che ha subito per una massa tumorale molto pesante».

Dunque, quasi fino alla fine, Mino non ha saputo del male distruttivo che lo stava logorando e pensava di curarsi per qualcosa di più semplice. Arriva anche Antonio Reitano, un altro dei fratelli Reitano, bravo sassofonista, arriva Mario Foti, autore e amico di famiglia e arriva Vincenzo, il fan numero uno di Mino e mi mostra orgoglioso il libro pubblicato da Reitano, versione originale del 1978. Cercando di arginare la commozione, ascoltiamo un’altra canzone. Così ci piace ricordare Mino.