Anche nel buio profondo, lampi di luce entrano nelle sue storie come fulmini. Crepe riempite d’oro che riparano, rimettono insieme i cocci senza nascondere le fratture. Francesco Costabile ama i contrasti, le spaccature. «In fondo vengo da una terra fatta così: di orrori e bellezza, e in quello che racconto ritorna questa visione cangiante. Crescere in contesti disordinati ti allena a guardare le cose in maniera diversa. La Calabria ha una cultura di matrice grecanica, è un luogo in cui la tragicità è parte intrinseca della vita».

Per lui l’esordio alla Berlinale con “Una Femmina” è stato fulminante, il debutto a Venezia con “Familia” la conferma di un talento che non ha fretta di bruciarsi. «Per me fare un film è come fare un figlio: c’è la lunga attesa, la sofferenza e poi la gioia. La felicità si mescola all’ansia, all’emozione travolgente» e tutto poi è intriso di desiderio, curato come un giardino.

«Desidero fare solo ciò che amo, ciò che mi fa innamorare davvero. Non potrei mai pensare di lanciarmi in un progetto che non sia in armonia con quello che sono, sarebbe impossibile, una sofferenza insopportabile». Non è una questione di superbia, ma di fatica, un concetto che ritorna nella nostra conversazione, seppur in un’accezione diversa da quella che potrebbe sembrare.

«Realizzare un film è qualcosa che risucchia ogni mio briciolo di energia. Poi arriva il momento in cui tutto finisce e mi rendo conto delle forze che ho speso, dell’ansia che mi attraversato, della paura che, in qualche modo, mi accompagna ovunque e ho imparato ad addomesticare».

Francesco Costabile

Familia è approdato all’ultimo festival di Venezia tra brividi e lacrime liberatorie. «Ero più spaventato del solito, perché, quando arrivi al secondo film, le aspettative sono molto alte e non vuoi deludere nessuno, in primis te stesso. So che sembro calmo e pacato in apparenza, ma dentro di me c’è una tempesta, c’è elettricità. Solo che, a un certo punto, scatta un meccanismo di salvaguardia, e riesco a mettere da parte tutte le preoccupazioni, tutto questo carico che preme sulle spalle, per concentrarmi solo su quello che devo fare, sulla storia che sto raccontando. L’ansia mi accompagna a ogni passo, è un compagno di viaggio a cui mi devo adattare. Non ci posso fare niente, c’è, esiste: allora quando arriva a ondate, aspetto che passi, come passa un temporale. Per rilassarmi sul set, leggo i tarocchi: ho le mie carte guida che mi aiutano ad attraversare le tempeste».

Ripensando al sé di dieci anni fa, l’autore cosentino prova un moto di tenerezza. «La fragilità è sempre lì, anzi forse è anche maggiore adesso. Quando ti esponi al successo, si manifesta in maniera più evidente proprio perché la posta in gioco si alza. Rispetto a quello che ero, alle mie ambizioni e ai miei sogni, sono sicuramente in pace con il mio percorso, perché so che tutti i sacrifici che ho fatto mi hanno portato a quello che sono oggi. Provo tenerezza per quella persona che ha sacrificato tutta la sua vita per inseguire un sogno, nonostante i grandi momenti di difficoltà. Nell’ingenuità ho trovato la forza, perché, per seguire i propri sogni, bisogna essere un po’ sprovveduti, forse anche un po’ puri».

I personaggi che punteggiano la sua costellazione creativa vivono di chiaroscuri. Alcuni sono violenti, altri candidi; sono vittime e carnefici, combattenti e ombre leggere e quando un film lascia la sua sfera per andare verso il pubblico, Costabile sa che è arrivato il momento del distacco. «Non rivedo più i miei film quando arrivano in sala, non sono più miei, ma del pubblico. I personaggi che creo so che mi accompagneranno fino alla fine: sono parte di me, del mio sentire, del mio modo di vedere le cose, anche quelli negativi perché sono parte del mondo che ho vissuto, delle persone che ho incontrato. E anche quando cerco nuovi stimoli e nuovi personaggi sento che sono tutti ancora con me, mi camminano alle spalle. Sempre».