Lirio Abbate è autore di un’inchiesta giornalistica, di un libro e di un docufilm su Massimo Carminati, esponente del gruppo eversivo d'ispirazione neofascista Nuclei Armati Rivoluzionari, affiliato alla banda della Magliana, denominato anche “Er cecato” per aver perso l’uso dell’occhio sinistro nel 1981 a seguito di un conflitto a fuoco con la polizia, arrestato nel 2014 nell’ambito dell’inchiesta Mafia Capitale e condannato nel luglio 2017 a 20 anni di carcere per associazione a delinquere.


Abbate, ad oggi sotto scorta dopo le minacce ricevute da Carminati, è partito dal furto al caveau della banca del Tribunale di Roma per spiegare “retroscena rimasti celati per anni. Una storia di tanti gialli, storie non dette. E un ricatto alla Repubblica”. Nell’intervista al Festival vibonese “Leggere&Scrivere”, condotta dal giornalista e direttore di LaC News24 Pietro Melia, Lirio Abbate ha raccontato con foto, video e intercettazioni il furto di alcune cassette di sicurezza nel 1999 all’interno del Palazzo di Giustizia commesso da una banda specializzata.

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«Nel posto più protetto d’Italia, senza forzare serrature, Carminati – coinvolto in alcune tra le inchieste più scottanti del Paese quali l’omicidio Pecorelli, strage di Bologna, assassinio Fausto e Iaio, – aprirà solo alcune di queste cassette dove ci potrebbero essere documenti segreti. A Roma se hanno un problema – continua Abbate – vanno da lui, uno dei re di Roma. Io, con documenti e fatti, racconto vicende di rilevanza sociale e politica. La mafia non è più lupara o dialetto meridionale». Proprio il lavoro svolto dal giornalista d’inchiesta «ha fatto impazzire Carminati. Dal suo ‘ufficio’ – continua – una stazione di servizio su corso Francia a Roma, dà ordini e intimidisce commercianti e professionisti. Ma questa non è mafia secondo i giudici».