I teatri, come i cinema, dal prossimo 15 giugno potranno riaprire. Ma non basterà alzare il sipario per lasciarsi alle spalle la grave crisi di un settore già in forte difficoltà, cui l’emergenza coronavirus ha dato il colpo di grazia.

Prospettive incerte

Gli appuntamenti del cartellone di primavera sono saltati, l’incertezza delle ultime settimane non ha consentito di programmare la stagione estiva mentre artisti e maestranze sono rimasti senza occupazione e senza prospettive. Ed anche guardando al futuro ci sono ancora troppe nuvole all’orizzonte. Insomma, contrariamente alla tradizione, in queste condizioni lo spettacolo non può continuare.

Protesta in piazza

Cosenza è uno dei tredici capoluoghi italiani nei quali sono scesi in piazza i lavoratori dello spettacolo, per uno stato di agitazione permanente.

 

Le restrizioni poste dal Governo per riprendere le attività potranno essere rispettate solo da un numero limitato di strutture, le più grandi e prestigiose, mentre le altre saranno tagliate fuori. Nei luoghi chiusi saranno ammessi al massimo duecento spettatori, mille per quelli all’aperto.

Spazzato via un anno di lavoro

«Per noi è impossibile ridimensionare la capienza della sala», afferma Dora Ricca del Teatro dell’Acquario, dove il numero dei posti è già molto ridotto. «Dimezzare il numero degli spettatori per garantire la distanza minima di un metro renderebbe insostenibile ogni rappresentazione».

 

Poi si sono bloccate anche tutte le iniziative collaterali: «Le nostre attività sono letteralmente evaporate da un giorno all’altro. Un colpo di tosse ha spazzato via un anno di lavoro. Ma nel frattempo le nostre vite devono andare avanti. Noi viviamo di spettacolo, siamo professionisti dello spettacolo e non possiamo sopravvivere in queste condizioni».

Il problema delle sanificazioni

«Questa riapertura annunciata per il 15 giugno ci ha fatto anche un po’ sorridere, perché all’inizio dell’estate di solito i teatri chiudono – dice l’attore Ernesto Orrico – Lo Stato ha voluto dare un segnale, ma ci sono difficoltà oggettive, anche per la sanificazione degli spazi. Che non sono i pochi metri quadrati di un piccolo negozio. I teatri da un punto di vista economico già da prima non navigavano in buone acque per cui questo potrebbe rappresentare uno scoglio difficile da superare, oltre a quello della prevedibile scarsa partecipazione di pubblico agli eventi».

Non si tratta di un hobby

«In Italia spesso si fa fatica ad associare l’essere artista all’essere un lavoratore. Per noi non è un hobby: siamo animati da una forte passione ma calcare le scene per noi significa anche guadagnarsi da vivere – spiega l’attrice Marisa Casciaro – La nostra è una categoria fortemente penalizzata: non abbiamo diritti, non abbiamo tutele, non avremo una pensione. Eppure ci impegniamo moltissimo, studiamo moltissimo, siamo una delle parti vitali del Paese».

Occasione per riformare il sistema

«Questa fase di emergenza ha rinsaldato i rapporti tra le varie anime che compongono l’insieme dei lavoratori dello spettacolo – sostiene Rita De Donato del collettivo Approdi –. Potrebbe essere l’occasione per avere con le istituzioni una interlocuzione utile a ripensare l’intero sistema». Ecco l’intervista.