Andrea Sannino, classe ‘85, musicista e attore napoletano sarà di scena a Catanzaro il 30 ottobre, come interprete del musical “Mare Fuori”, uno degli appuntamenti più attesi della ventunesima edizione del Festival d’Autunno. Lo spettacolo, diretto da Alessandro Siani, è ispirato alla fortunata serie televisiva che ha fatto innamorare milioni di fan stregati dalle vicende del gruppo di ragazzi detenuti in un carcere a picco sul mare, metafora di una libertà lontana, anche se così a portata di mano.

Andrea, da dove nasce questa tua passione per la musica?
«Fin da piccolino ho respirato la musica grazie a mio padre, che ne è sempre stato appassionato. Io sono innamorato della mia lingua napoletana. Sono cresciuto con miti come Pino Daniele, Sergio Bruni. Poi ho sempre associato a questa passione un'altra grande passione, che è il teatro. Ho iniziato a calcare i primi palcoscenici in compagnie amatoriali, fino a quando ho dato più spazio alla discografia, pubblicando i miei primi album che mi hanno cambiato la vita. Dopo qualche anno, sono tornato anche al teatro e oggi mi ritrovo in questa compagnia che è in tour da due anni con il musical di Mare Fuori.

Hai usato il termine “lingua” riferendoti al napoletano, è curioso.
«La considero una lingua a tutti gli effetti. Chi mi segue lo sa: nei miei concerti e spettacoli parlo spesso di questo argomento. Non solo perché l’Unesco ha riconosciuto il napoletano come lingua e non come dialetto, ma perché la cultura napoletana ha ormai oltrepassato i confini nazionali. La musica napoletana si canta da secoli anche in America, per fare un esempio. Ne sono molto orgoglioso e credo che andrebbe insegnata nelle scuole come seconda lingua italiana».

L'anno scorso a Sanremo, Géolier ha presentato una canzone in napoletano, generando un mare di polemiche. Cosa ne pensi?
«Credo che fossero polemiche strumentali e inutili. La storia di Sanremo è piena di canzoni napoletane. Géolier non è stato il primo, e spero non sia l'ultimo. Ci sono state critiche anche perché lui ha portato il napoletano con un genere, come la trap, che non è mai stato espressione di un territorio specifico. Ogni cambiamento genera dibattito, c'è poco da fare. Se Géolier riesce a parlare a un pubblico giovanile, e i testi sono interessanti, ben venga».

E poi ci sono precedenti illustri.
«Esatto. Ci sono stati altri artisti, come Angelo Bertoli, che cantavano in sardo a Sanremo. La musica è universale. Penso che il napoletano, come altre lingue regionali, non debba essere visto come un limite. Noi non capiamo tutto ciò che cantano artisti internazionali come Michael Jackson, ma ci emozioniamo lo stesso».

Raccontaci della tua esperienza teatrale in "Mare Fuori".
«L'anno scorso abbiamo registrato il record italiano per il numero di sold-out consecutivi: 65 repliche, tutte esaurite, con oltre 100mila spettatori. È un successo che mi aspettavo, vista la popolarità della serie, anche se spesso le trasposizioni teatrali non hanno l'impatto delle versioni tv. Invece, qui si è creata una sinergia speciale. Il mio ruolo, quello di Beppe, mette in luce come la cultura e la musica possano cambiare la vita dei ragazzi, anche di quelli che hanno già sbagliato, come i protagonisti di "Mare Fuori", che sono in carcere. Il messaggio è potente: la cultura può redimere».

Secondo te, perché tanti ragazzi, che magari non vivono in contesti difficili, sono rimasti sedotti dai personaggi della serie?
«Molte persone sono affascinate dal "male" visto a distanza di sicurezza. È un po' come guardare fuori dalla finestra per osservare la violenza di un mondo che non ci appartiene, ma ci incuriosisce. Anche grandi film come "Scarface" o "Il Padrino" hanno esercitato questo fascino. Tuttavia, con "Mare Fuori" c’è anche un altro elemento: parla di ragazzi, e quindi si rivolge a un pubblico giovane. Sta a noi, attori e autori, fare in modo che il messaggio arrivi chiaro, cioè che non si debbano emulare i comportamenti negativi dei personaggi».

Un film e una canzone del cuore.
Il mio film preferito è "La vita è bella" di Roberto Benigni, un capolavoro con una colonna sonora magica firmata da Nicola Piovani. Per quanto riguarda la canzone, vado ancora più indietro: "What a Wonderful World" di Louis Armstrong. Sono canzoni e film che parlano della bellezza della vita, della positività, che è molto diversa dall'oscurità di "Mare Fuori"».

Mi aspettavo un brano napoletano.
«Ti ho stupito (ride ndr)! Jackson è un esempio per i giovani: dietro al suo successo c'erano sofferenza, sacrificio e tanta dedizione. Questo è il messaggio che cerco di trasmettere ai ragazzi: i sogni si realizzano con lo studio e l'impegno. La musica, come la cinematografia, ha il potere di rendere immortali certi percorsi, e credo che tra centinaia di anni si saprà ancora chi era Michael Jackson».