Otto sopra un palco. Otto che vale la pena menzionare tutti perché ognuno di loro è stato un frammento prezioso dello spettacolo che ha animato il Ferragosto di Corigliano-Rossano. Otto assieme a una miriade di altri frammenti sparsi in piazza Gaetano Noce, ai piedi della scena che occupano, prendendo posto accanto ai loro strumenti, Daniele Silvestri, Gianluca Misiti, Piero Monterisi, Daniele Fiaschi, Gabriele Lazzarotti, José Ramón Caraballo Armas, Duilio Galioto, Marco Santoro. Poco dopo l’inizio previsto per le 22 il concerto comincia e non si ferma per oltre due ore e mezza, nonostante le proteste scherzose di cantante e musicisti acclamati ancora e ancora, una canzone dopo l’altra.

«Ma non ce l’avete una casa?», chiede Silvestri al microfono mentre qualcuno della band si controlla al polso un orologio inesistente.

Casa, per una sera, è lì. Per i tanti che si sono riversati nella piazza incuranti del caldo che per il clou dell’estate ha rifatto capolino – niente a che vedere con i (ne)fasti di luglio, però – e stretti gli uni gli altri hanno percorso un pezzetto di vita tutti assieme. E per chi, dall’altra parte, regala parole e accordi, parole e ricordi e poi lo dice, quando la scaletta propone proprio quella canzone che si chiama così, “La mia casa”: «Casa nostra stasera è Corigliano-Rossano».

E c’è da crederci che si senta proprio così Silvestri, che esce, rientra, si asciuga i sudori dal viso. E sorride, sempre. «Basta», dice, più e più volte. Ma poi non basta mai. C’è ancora un’altra richiesta da esaudire e quella canzone che «ma sì, facciamo pure questa».

Si diverte a giocare con il pubblico, in una corrispondenza di amorosi sensi che non viene meno neanche quando da una parte all’altra rimbalza «l’insulto reciproco» che fa parlare – cantare, anzi – in romanesco la piazza calabrese. E «li mortacci tua» riempie il centro storico rossanese sulle note di “Testardo” e testardo il pubblico ne chiede un’altra ancora.

Gioca, Silvestri, anche con una scaletta che si diverte a scomporre e ricomporre, in un ordine degli addendi che cambia senza cambiare il risultato, e che scorre liscia, fino all’una di notte, alternando presente e passato, gli ultimi arrivati di Disco X e le vecchie glorie di una carriera – o fortuna, come preferisce chiamarla lui – che si prepara a festeggiare trent’anni.

“L’uomo col megafono”, “Salirò” e “La paranza”, i successi di Sanremo accanto a “classici” come “Amore mio” e “Le cose in comune”. E poi gli omaggi a Gino Strada, Paolo Borsellino e Renato Vicini, interprete e paladino della Lis – la lingua italiana dei segni – con lui sul palco dell’Ariston nel 2013 in “A bocca chiusa”.

Un fluire di pensieri ed emozioni in cui riesce a incastonarsi anche un piccolo, intimissimo, capolavoro come “Il secondo da sinistra” (e grazie, Marco Santoro). Passando per “Monetine” e l’immancabile “Occhi da orientale”.

Ma «a me ne manca ancora una», urla qualcuno da sotto. Ne mancherà sempre una, o più d’una, perché tutto tutto proprio non si può. Ma “Cohiba”, lei – lei, sì, perché le canzoni sono cosa viva e certe canzoni sono vecchie amiche con cui si sono condivisi momenti – proprio non può mancare. Braccia per aria, qualche pugno al cielo. «O victoria o muerte». Ed è vittoria.