Cominciamo dai meriti: tenere in vita un festival che considera la montagna calabrese un’attrattiva, e farlo senza più essere un uomo di potere, è certamente una scelta benemerita.
Bruno Censore, nella sua voglia di rimanere motore e immagine di “Serre in Festival”, però dovrebbe stare un po’ più attento all’estetica, per evitare stecche clamorose, visto che pure alla politica – gli dicono da tempo elettori e leader del suo partito – ha badato in maniera infruttuosa.
In queste riprese fatte con il telefonino lo si vede molto legato, nel ballo, quasi impacciato nel dover leggere il testo di una canzone – conosciutissima e travolgente - che è stato chiamato a interpretare.
Non un Censore arrembante, quindi, ma comunque sempre desideroso di sentirsi del popolo, in mezzo al popolo - anzi su un palco per il popolo - tanto da proporsi per un brano tra i più noti del repertorio pop calabrese, che canticchia solo grazie agli occhiali inforcati, ausilio per la vista fino al foglio poggiato sul leggio. Più che un “Dj Salvini” che galvanizza i fighi del “Papeete”, un ex parlamentare, ex consigliere regionale, che si agita – invece che per la tarantella del potere – per…ispezionare la resistenza delle tavole del palco. Stando attento a non cadere di nuovo, anche nella sua Serra San Bruno.