«Sì, siamo nella Terza classe, può sembrare ma non ci sono riferimenti al Titanic ma al mix di culture che suoniamo; il gruppo esisteva prima di me, io mi sono aggiunto, diciamo che io sono la quarta classe della terza classe». Ed è questo il nome della band napoletana con cui Joe Bastianich collabora e condivide l’amore per le melodie ispirate al dixieland, all’early jazz fino a sfiorare il folk irlandese.

Mentre i suoi musicisti mettono a punto il sound-check e una sposa, sorpresa, con la sua coda di ospiti, esce dalla chiesa di Costantinopoli a Rende paese, Joe Bastianich, voce del live, in cartellone come uno dei tre appuntamenti musicali del Settembre rendese, aspetta di mettere qualcosa sotto i denti prima di affrontare il palco.

«È una regione niente male la Calabria, ha tutto: mari, monti. Sono stato tre giorni in Aspromonte per girare una cosa, poi a Reggio, mi è piaciuto stare lì. Non la conosco come il Friuli questa regione ma un po’ sì, dai».

Ça va sans dire, parliamo di gastronomia.

«Beh, ho assaggiato grandi ingredienti qui: dalla ’nduja alla liquirizia che adoro. È una cucina super forte, piena di gusto. Qui con la vostra agricoltura e il vostro olio si possono fare grandi piatti».

Sei in tour, passi da palco a palco, che piatto musicale hai preparato ai tuoi spettatori?

«Molto americano. Lo scopo del tour era portare gli spettatori in un viaggio sonico attraverso la vera musica americana. Quindi bluegrass, ma dentro c’è un po’ di gospel, folk, blues, country».

Adesso parlo all’imprenditore, il Covid ha duramente colpito, il settore della ristorazione, come si riparte, cosa non fare?

«Io sono d’accordo con chi dice che questa crisi può essere un’opportunità. La cosa che bisogna fare e non sbagliare, è guardare il consumatore e vedere com’è cambiato. Il Covid ha reindirizzato le tendenze di chi frequenta i ristoranti. Un ristoratore deve capire dove va la corrente e studiare come si comportano i clienti, è fondamentale».

Rispetto a quella americana, la ristorazione italiana cos’ha di diverso?

«È molto più piccola e a gestione familiare. In America questo non c’è. In Usa le ristorazioni sono appannaggio delle grandi aziende, c’è un giro molto più ampio. Non è una cosa negativa il fatto per i ristoranti italiani essere più raccolti, ma la gestione è sicuramente diversa, ha un’altra dimensione anche da un punto di vista di distributori e poi, di clienti».

Joe e la televisione. Hai lasciato Masterchef, un addio?

«Faccio talent, lavoro in America, chissà… vedremo».

Ma perché hai lasciato il format?

«Perché dopo 27 edizioni io dico che può bastare, no?».

Due passioni, due scelte: una canzone e un piatto.

«Difficile. Mi butto sul gran classico, penso ai Beatles. Sul piatto rispondo subito: spaghetti alle vongole. Ma la canzone è più difficile. Lasciami pensare…».