L'attore è tra i protagonisti del musical ispirato alla famosa serie, in programma al Politeama: «Il successo non mi ha cambiato. Sono rimasto nel mio quartiere»
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Antonio Orefice, giovanissimo attore napoletano, è tra i protagonisti del musical "Mare Fuori", tratto dalla famosa serie in cui interpretava la parte di Totò. Il 30 sarà di scena al Politeama per la rassegna del Festival d'autunno, insieme a tanti del cast di quello che è stato prima un grande evento televisivo e ora teatrale.
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Antonio, parliamo di Mare Fuori. Raccontaci com’è cominciata questa avventura.
«All’epoca avevo già fatto altri film e serie, come Gomorra nel 2012. Poi è arrivata questa proposta alla mia agenzia: un provino per Mare Fuori, che allora nessuno conosceva. Faccio il provino, va bene, e torno a casa. Dopo una settimana, mi richiamano per un’altra audizione. Mi provinano per il ruolo di Cardiotrappa, che poi avrebbe interpretato Domenico Cuomo, un attore che stimo moltissimo. Anche questa audizione va bene. La terza volta mi fanno provare anche la parte di Totò, un personaggio ambiguo e strano. Nel provino finale ci fanno provare entrambi i ruoli, e alla fine il regista Carmine Elia mi dice: “Comunque, tu per me sei Totò”».
Com’era la vita sul set?
«Andavamo sul set sereni, si respirava un’armonia speciale: nessuno di noi voleva prevalere sugli altri. Eravamo tutti ragazzi con tanta voglia di dimostrare quello di cui eravamo capaci, senza calpestarci i piedi. Non sapevamo cosa sarebbe accaduto in futuro, ed è stata proprio quest’atteggiamento disincantato a darci la forza per vivere l’esperienza con naturalezza e, forse, a renderla unica».
Ti ha cambiato la vita questa serie?
«Ero già nell’ambiente, ma mi ha dato più chance sicuramente. Magari adesso posso fare un po’ di più, ma in realtà la vita scegli tu se cambiarla o meno. Io sono rimasto nel mio quartiere e le mie abitudini sono rimaste le stesse. Come diceva Troisi, il successo è un amplificatore: può farti diventare “scemo scemo” o “buono buono”».
E tu cosa vorresti diventare?
«Voglio diventare “buono buono”. Voglio crescere professionalmente, portando la scena napoletana in tutta Italia, perché mi sento un attore molto partenopeo. Mi piacerebbe interpretare anche altri ruoli, ma sempre con l’obiettivo di rappresentare la mia città e la sua cultura».
Chi sono i tuoi modelli di riferimento?
«I grandi, i mostri sacri. Per me Edoardo De Filippo, Totò e Troisi sono come santi. Sono cresciuto con i loro film e, attualmente, anche Salemme e Siani mi ispirano tantissimo. Questi attori hanno portato la loro napoletanità oltre Napoli, ed è ciò che sogno anch’io, nel mio piccolo.»
Hai partecipato anche a Pechino Express: che esperienza è stata per te?
«Pechino è stato bello, un'avventura unica di quelle che ti arricchisce umanamente. Conosci nuove realtà, persone e culture molto diverse. Mi ha permesso di crescere come persona e di vedere il mondo con occhi diversi.»
Sei cresciuto a Secondigliano, un quartiere complesso: in che modo il quartiere ha influenzato la tua arte?
«Ti dico questo: ho studiato recitazione, ma lavoravo anche nel supermercato del quartiere per mantenermi. Portavo la spesa a domicilio nel quartiere, e dico sempre che quella è stata la mia vera accademia. Lì è nata la mia capacità di osservare, confrontarmi e creare personaggi, perché la realtà ti dà tutto. La gente mi spronava a credere in me, dicevano che dovevo fare l’attore. Quando qualcuno crede in te, anche prima di te stesso, è una spinta enorme. Nel quartiere, un po’ tutti diventano come una grande famiglia».