Il 27enne Carmine Amato affida a TikTok il racconto dell’ennesimo caso di malasanità in un’odissea che coinvolge tutta Italia, dalla Calabria al Piemonte, risolto solo grazie alla solerzia di una pneumologa che segnala la vicenda: «Rintracciate quel ragazzo, è un morto che cammina»
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«Che cosa ha mio figlio?». «Nenti, signora, l’osso ‘nto pedi!»: eppure, quel niente si è trasformato in un intervento salvavita con ben sessanta punti ad un polmone. Basterebbe questa risposta per sintetizzare l’ennesimo racconto di malasanità calabrese, affidato questa volta ai social media: è la storia che Carmine Amato, giovane calabrese di 27 anni che vive in provincia di Torino, ha raccontato su TikTok condividendo l’assurda esperienza che ha vissuto tra gli ospedali di Calabria e Piemonte, un racconto che ha dell’agghiacciante per le conseguenze subite. Una storia che somma dimenticanze, mancanza di approfondimenti, carenze di personale medico e referti su referti fino ad arrivare ad un passo dal tragico epilogo: a salvare Carmine ci ha pensato una pneumologa, che accedendo al sistema ha scoperto che quel paziente era stato dimesso ed ha fatto di tutto per rintracciarlo e farlo rientrare in ospedale per operarlo d’urgenza. Adesso Carmine è vivo, non potrà scendere in Calabria per un po’ e rischia di non recuperare la piena funzionalità del polmone sinistro: per questo ha deciso di raccontare la sua storia sui social, sul suo canale TikTok, per far sì che nessuno debba passare quello che ha vissuto lui.
Sputa sangue, ma per i medici non ha nulla: il calvario di Carmine Amato
La lunga storia di Carmine inizia a Torino, l’8 giugno, dove abita con la famiglia: studente all’ultimo anno di medicina, una notte si sveglia con rigurgito notturno, difficoltà a respirare e gola chiusa. Prende dei farmaci, non fanno effetto e quindi chiama il 118: arrivato in ospedale al San Luigi Gonzaga, dopo le analisi del sangue e l’rx viene dimesso. Si tranquillizza, non sospetta nulla e quindi torna in Calabria per le ferie estive: a fine giugno, però, accusa un dolore fortissimo alla schiena sinistra ed al torace. Gli viene prescritto dell’antibiotico e del cortisone, il dolore passa e sembra tutto filare liscio. A fine agosto, però, la situazione inizia a precipitare: inizia a sputare sangue, ha forti dolori e si reca nel pronto soccorso di Locri.
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Sin da subito, però, le cose non vanno come devono andare: «Vengo classificato come codice bianco - racconta Carmine - e solo dopo un po’ di insistenze mi fanno entrare. Mi fanno una radiografia e quando mia madre chiede come va, se dobbiamo preoccuparci, il radiologo esclama: “Signora, ‘ndavi l’ossu ‘nto pedi”. Un’espressione dialettale che vuol dire che il ragazzo non ha nulla». Carmine scende nuovamente in pronto soccorso, viene inviato in Otorinolaringoiatria dove gli danno la diagnosi: c’è un capillare indebolito, gli prescrivono degli sciacqui e viene dimesso.
Le dimissioni da Locri e l’arrivo a Reggio Calabria, ma non ci sono pneumologi
Tornato a casa, Carmine continua a tossire sangue e non si fida di quello che hanno detto a Locri: per questo si mette in macchina e parte da Bovalino per andare a Reggio Calabria, al Grande Ospedale Metropolitano. Lì gli fanno una tac e scoprono immediatamente il problema: c’è una polmonite, bisogna curarla, ma alle 22 non ci sono pneumologi. Gli dicono quindi di tornare a casa e di ripresentarsi l’indomani mattina, cosa che fa regolarmente, ma qui scopre l’amara sorpresa: per tutto il giorno, dalle 8 di mattina alle 20, nessun pneumologo lo visita. Torna così a casa e sceglie di bypassare il problema rivolgendosi ad un professionista in visita privata: «Mi dice che ho una neo formazione e mi prescrive una terapia abbastanza forte - spiega Carmine - paventando una possibile formazione tumorale: faccio la cura ma torno immediatamente a Torino, per fare poi la tac di controllo prevista e farmi visitare lì perché non avevo più fiducia nelle strutture sanitarie calabresi».
Si arriva ad ottobre, avvia una serie di consulti presso altri pneumologi privati che scongiurano tumori: non è una massa ma una cicatrice di una polmonite curata male. Carmine si tranquillizza, ma i sintomi non passano: i dolori, la febbricola, le difficoltà respiratorie aumentano finché la situazione collassa e ritorna in ospedale, soccorso in piena notte dal 118.
L’arrivo in ospedale a Torino, il parcheggio in area Covid e l’appello della dottoressa: “Rintracciate quel ragazzo!”
È il 5 novembre, la situazione di Carmine nei giorni è peggiorata notevolmente e il ragazzo ormai non scende dal letto. La situazione precipita, chiama il 118 e arriva all’ospedale Martini di Torino in condizioni critiche: ha difficoltà a respirare, la tac mostra i versamenti polmonari e l’insufficienza respiratoria. In pneumologia il quadro appare subito chiaro, comunicano i risultati al pronto soccorso ma dopo la terapia il ragazzo viene dimesso: al ritorno a casa sta nuovamente molto male, i genitori non vogliono riportarlo nell’ospedale che lo aveva dimesso poche ore prima e quindi si rivolgono ad un altro ospedale, il San Luigi Gonzaga di Orbassano. Spiegano la situazione, fanno vedere i referti e viene fatto entrare, ma viene inspiegabilmente inserito in un corridoio insieme a pazienti in attesa affetti da Covid. Appena comprende la situazione, preso dallo sconforto, Carmine chiede di andare via: «Non avevo più forze, mi sentivo morire ma nessuno si prendeva cura di me: a quel punto ho chiesto di andare a casa, se devo morire almeno voglio morire a casa mia». Carmine arriva a casa, è allo stremo delle forze, ma ad un certo punto succede l’inaspettato: «Suona il telefono di mia mamma, uno dei recapiti lasciati nell’accesso al pronto soccorso dell’ospedale San Martini visto che ormai io parlavo a difficoltà: è la dottoressa Boaro, la pneumologa che mi ha visitato il giorno prima, che mi dice di ritornare immediatamente in ospedale perché rischio la vita».
La dottoressa, infatti, fa un accesso al sistema informatico dell’ospedale per vedere l’andamento della degenza del ragazzo ma scopre che non è stato ricoverato. Immediatamente recupera dalla scheda il numero del ragazzo, allerta il pronto soccorso e la direzione sanitaria dell’ospedale per rintracciare il paziente: «Quel ragazzo è un morto che cammina - ci riferisce Carmine - dovete portarlo immediatamente qui in ospedale e io arrivo. La mattina successiva, dopo gli accertamenti, vengo sottoposto a toracentesi: mi svuotano il liquido in 12 punti diversi, riprendo finalmente a respirare ma il polmone sinistro è gravemente compromesso». Viene stabilizzato, messo in sicurezza e poi spostato al San Giovanni Bosco di Torino, dove viene preso in carico e operato: subisce una toeletta completa del polmone, un intervento di decorticazione polmonare poiché il polmone sinistro era pieno di pus e non riusciva più a lavorare. Finisce con i drenaggi, il polmone sinistro fuori uso e 60 punti di sutura.
«Occhiuto e Meloni, perché non fate niente per gli ospedali italiani?»: l’appello di Carmine Amato su TikTok
Il giovane, che adesso continua a controllarsi, non ha ancora recuperato il pieno utilizzo del polmone sinistro «e non so se riuscirà a funzionare come prima. Per ora mi curo, non potrò scendere in Calabria perché ancora sono troppo debole ma racconto la mia storia sui social perché tutti devono sapere quello che è successo, se stiamo in silenzio nessuno farà mai nulla». Carmine ha iniziato a raccontare la sua storia punto per punto, su TikTok, con l’account @carmineamatomed: lì carica ogni giorno i referti, i verbali dei pronto soccorso, le cure che gli hanno prescritto e tutto quello che gli è successo taggando il presidente Occhiuto e il premier Meloni.
«La sanità pubblica è al collasso, non solo in Calabria, e loro hanno il dovere di intervenire - spiega Carmine - perché chi lavora nel pronto soccorso deve essere specializzato: come non si può riconoscere chi ha un’insufficienza respiratoria? Occhiuto ha idea delle condizioni degli ospedali della Locride e della tirrenica reggina, ad esempio? Sono stato giornate intere in attesa di pneumologi, ho fatto avanti e indietro in reparti che cadono a pezzi. Il presidente ha fatto un ottimo lavoro in materia ambientale, ad esempio, perché non manda nelle corsie organi di vigilanza, carabinieri, forze dell’ordine a controllare quello che succede? Io non smetterò mai di raccontare la mia storia perché non si può rischiare la vita per delle cose banali e non diagnosticate in tempo».
La replica del Grande Ospedale Metropolitano di Reggio Calabria
Pubblichiamo di seguito la replica del Grande Ospedale Metropolitano di Reggio Calabria, a firma del commissario straordinario Gianluigi Scaffidi, che precisa quanto segue.
Spettabile Redazione,
in merito a quanto in oggetto questa Azienda precisa che la narrazione degli accadimenti relativi al coinvolgimento del GOM nella vicenda è totalmente inesatta e fuorviante e, come tale, producente danni all'immagine della stessa Azienda. Infatti, ancorchè il sig. Amato ricordi (e quindi racconti) male, l'assistenza prestata alla sua persona è stata quanto mai completa e tempestiva come dimostra tutta la documentazione in atti. Se egli ha preferito scelte assistenziali diverse non può narrarle quali obbligate da manchevolezze del GOM.
Per quanto sopra questa Direzione, nel riservarsi le opportune azioni a tutela dell'immagine dell'Azienda, invita alla rettifica della narrazione dei fatti per come realmente accaduti con lo stesso risalto con cui sono state denunciate, nella fattispecie, le inesistenti carenze del GOM.