I numeri del rapporto Svimez: la nostra regione «caso emblematico della debolezza della sanità al Sud». Screening mammografici per il 16% delle donne: in Italia è l’89%. Le colpe dei Piani di rientro
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Screening quasi inesistenti e malati di tumore costretti a una fuga tanto frequente quanto dolorosa. Nel Sud che offre ai cittadini cure di serie B la Calabria è un caso a parte. Che, nel rapporto Svimez, diventa «emblematico della debolezza dei Sistemi sanitari regionali del Mezzogiorno». Servizi di prevenzione e cura sono più carenti, i tempi di attesa per l’erogazione di molte prestazioni sono maggiori, i livelli di spesa minori. Di prevenzione, in particolare, si parla molto ma i numeri non danno sostanza alle parole. In generale «la capacità di offerta e i tassi di adesione alle campagne di prevenzione sono sistematicamente più bassi nel Mezzogiorno».
Primo tasto dolente: gli screening mammografici a cadenza biennale, particolarmente raccomandati per le donne tra i 50 e i 69 anni, fascia d’età in cui il tumore al seno è la patologia oncologica più diffusa. «In Italia – riepiloga Svimez – sette donne su 10 si sono sottoposte ai controlli: la metà lo ha fatto aderendo ai programmi di screening gratuiti. La copertura è dell’83% al Nord, del 78% al Centro e solo del 61% al Sud». In questo quadro, la prima regione per copertura è il Friuli-Venezia Giulia (89%); l’ultima è la Calabria, dove solamente due donne su cinque di 50-69 anni si sono sottoposte ai controlli».
Ancora in Calabria, è bassissima «la quota di donne che hanno effettuato lo screening mammografico su iniziativa organizzata: soltanto il 9,7% del totale».
Addirittura più bassa, l’8,3%, la quota di residenti in Calabria che hanno effettuato lo screening per il tumore al colon-retto nell’ambito di un programma organizzato dalla Asl, per una copertura totale del 19,4%. Questo tipo di cancro è la seconda causa più frequente di decesso per patologie oncologiche.
Gli screening per il carcinoma alla cervice uterina causato dal Papilloma virus (raccomandato per donne dai 30 ai 64 anni) vedono di nuovo la Calabria all’ultimo posto: il tasso di adesione ai programmi organizzati è inferiore al 20%, quello di copertura totale è del 58%.
Prevenzione oncologica, perché in Calabria non funziona
Il rapporto individua la causa di questo gap nella «percezione della qualità e dell’accessibilità dei servizi sanitari». E cita ancora una volta la Calabria come esempio in negativo: «Hanno ricevuto l’invito a partecipare al programma di screening mammografico il 16% delle donne contro una media nazionale dell’89%».
Il Piano regionale della prevenzione 2020-2025 della Calabria – la citazione appartiene sempre agli esperti di Svimze – elenca «le principali cause di risultati così deludenti: carenza di personale medico e tecnico; scarsa qualità delle strutture di erogazione; obsolescenza delle apparecchiature nelle strutture di erogazione». La Calabria ha avviato un piano di rinnovamento dei macchinari i cui risultati potranno essere vagliati nei prossimi anni.
Sanità precaria, le colpe dei Piani di rientro
Per ora non resta che prendere atto delle conseguenze dei Piano di rientro «che hanno consentito di “efficientare” la spesa sanitaria e recuperare i disavanzi, ma a scapito di un peggioramento complessivo nell’offerta di assistenza territoriale e ospedaliera, con effetti negativi tangibili sulla popolazione come l’intensificazione delle migrazioni sanitarie».
Più alto il rischio di morti in età infantile
Il divario Nord-Sud al centro del dibattito sull’Autonomia differenziata è uno degli snodi centrali dell’analisi di Svimez. Povertà relativa, disoccupazione e reddito pro capite incidono direttamente sulla morbilità, cioè l’incidenza con la quale una malattia si manifesta nella popolazione. E il rapporto cita «un recente studio sui differenziali territoriali riferiti al tasso di mortalità infantile documenta come il fenomeno sia più intenso in Calabria, Sicilia, Campania e Puglia, dove il rischio di decesso in età pediatrica aumenta del 70% rispetto alle regioni del Centro-Nord».
I 3mila malati di cancro costretti a curarsi al Nord
Questo gradiente si conferma anche per la mortalità evitabile e la mortalità per tumori. E «che i divari Nord-Sud nel diritto alla salute siano signifcativi e persistenti lo dimostrano i cittadini meridionali che si rivolgono ai Ssr di altre regioni per curarsi». Sono i dati Agenas a tradurre in cifre questa drammatica fuga dal Sud: nel 2022 la mobilità passiva ha interessato 629mila pazienti, il 44% dei quali residente in una regione del Sud. Nello stesso anno, i Ssr meridionali hanno attirato 98mila pazienti, solo il 15% della mobilità attiva totale.
Di nuovo, le regioni dalle quali si “fugge” di più sono la Calabria e la Campania: in un solo anno, oltre 6mila pazienti oncologici campani (3.299) e calabresi (3.090) hanno ricevuto assistenza fuori dai confini regionali. E il dato calabrese è molto più pesante se rapportato alla popolzione. Seguono Sicilia e Puglia, dove la mobilità oncologica ha interessato rispettivamente oltre 2.610 e 2.227 pazienti. Complessivamente, i malati oncologici residenti al Mezzogiorno che ricevono cure presso un Ssr di una regione del Centro-Nord sono 12.401, circa il 20% dei pazienti oncologici totali meridionali. Di questi, il 34% si è spostato in Lombardia (4.207), il 26% nel Lazio (3.213), il 13% in Veneto (1.560) e l’8% in Emilia-Romagna (1.032).