Si intravede la luce in fondo al tunnel. Parola di Giuseppe Profiti, manager di origini catanzaresi che ha scelto di tornare in Calabria e, infine, di restare.

«Ho fatto un’ultima telefonata di pochi minuti al presidente Occhiuto chiedendo se intendeva veramente realizzare le cose delle quali avevamo parlato e se mi avrebbe dato gli strumenti per realizzarle» racconta in una intervista rilasciata a LaC News24 in cui traccia la “way out” dal pluridecennale commissariamento calabrese. Un sistema sanitario «liquefatto – spiega il commissario di Azienda Zero – dall’assenza di principi, regole chiare, criteri oggettivi e metodologie operative».

La sanità calabrese è stata più volte e nel corso degli anni al centro di scandali e indagini giudiziarie che hanno anche condotto allo scioglimento di alcune aziende per infiltrazioni mafiose. Al di là della permeabilità alle organizzazioni criminali, esiste un problema di disorganizzazione amministrativa o mancato controllo che rende possibile questo genere di interferenze?
«È vero che disorganizzazione e mancanza di controlli sono causa di permeabilità del sistema sanitario alle organizzazioni criminali, ma a loro volta sono solo un sintomo della debolezza delle istituzioni e dei loro apparati. Intervenire, come si sta facendo, sul disegno e sulle regole del sistema amministrativo della sanità, rafforzando e rendendo esplicito e trasparente il rapporto tra esercizio del potere decisionale e responsabilità dei risultati conseguiti, significa puntare a servizi maggiori e migliori per i calabresi e al tempo stesso “accerchiare” il fenomeno criminale affiancando l’azione preventiva e dissuasiva “naturale” in un sistema amministrativo efficiente a quella repressiva della magistratura».

Il debito sanitario calabrese è stato per anni oggetto di una narrazione quasi mitologica a causa delle difficoltà legate ad una sua quantificazione effettiva, adesso l’operazione avviata dalla Regione dovrebbe concludersi nei prossimi mesi. Lei pensa che a quantificazione chiusa il problema sia risolto o potrebbe generarsi nuovamente in futuro se non si interviene anche ad eliminare ciò che ha prodotto il disordine contabile? Detto in altri termini, il sistema è pronto a ripartire?
«La sua domanda ha centrato il problema, il mito del debito calabrese nasce da una narrazione che non trovando smentita nei numeri di un sistema contabile attendibile si è alimentata a seconda delle rispettive convinzioni o interessenze. Svelare il mito, attraverso la ricostruzione della realtà è stato quindi il primo obiettivo, subito seguito da quello di creare le condizioni per impedire che torni a formarsi. Per riuscirci abbiamo quindi esteso l’operazione di circolarizzazione al 2022, non fermandoci al 31/12/2020 come stabiliva la legge straordinaria, per avere un quadro il più completo possibile delle passività del sistema e puntando a far sì che proprio da questo esercizio i bilanci ne assicurino il pieno controllo contabile per il futuro. Venendo ai dati, come è stato più volte detto in questi mesi l’ammontare di richieste creditorie al 2022 è stato di 1,226 miliardi, e quello al 31/12/2020 di 862 milioni. Sono cifre che possono impressionare il normale cittadino, ma va considerato che il sistema sanitario calabrese spende in sanità ogni anno quasi 4 miliardi e nel confronto con le altre regioni il rapporto tra debito e risorse annue complessive della Calabria è al 22%, ben al sotto della media delle altre regioni centro-meridionali e in linea con quello nazionale”.

La Calabria non è l’unica regione d’Italia ad aver prodotto un deficit così elevato nel settore sanitario, dal suo punto di vista perché qui – a differenza di altri territori – è diventato un caso quasi irrisolvibile? È mancata la volontà di affrontare il problema, sono mancati gli strumenti per farlo?
«È vero che la Calabria ha prodotto disavanzi come le altre regioni ed è vero che lo ha fatto sino al 2019. Ma è altrettanto vero che dal 2020 il sistema sanitario calabrese è in avanzo e che questo avanzo è cresciuto in modo significativo nel 2021, consentendo di ripianare i disavanzi pregressi, e ancora di più nel 2022. Un risultato che purtroppo è stato ottenuto principalmente attraverso la graduale riduzione dei servizi erogati ai calabresi. Il tema che è oggi chiamato a svolgere il commissario attuale è ben più complesso di quello di chi lo ha preceduto, ovvero alzare il livello quantitativo e qualitativo dell’offerta sanitaria del sistema calabrese lavorando nel contempo sulla sua struttura per impedire che la ripartenza produca nuovamente disavanzo e debito».

Lei è di origini catanzaresi ma per diversi anni ha svolto la sua professione fuori dai confini della Calabria. Oggi ha deciso di tornare per mettere le sue competenze al servizio dei calabresi, qual è la principale difficoltà che ha osservato nel sistema sanitario calabrese rispetto agli altri in cui ha lavorato?
«Principi, regole chiare, criteri oggettivi e metodologie operative. La carenza di questi elementi è la differenza maggiore che riscontro nella comparazione del sistema calabrese con quello di altre regioni. Ed è la causa che a mio avviso ha portato in questi ultimi anni alla liquefazione del sistema sanitario regionale, che non avendo più riferimenti oggettivi nei criteri di valorizzazione delle figure manageriali e professionali, ne ha determinato la graduale dispersione».

Il commissariamento del comparto sanitario in Calabria si perpetua ormai da diversi anni, questo istituto, secondo lei, è un problema o una opportunità? Una sentenza della Corte Costituzionale, ad esempio, ne ha stigmatizzato l’uso soprattutto quando non rappresenta più uno strumento di intervento straordinario ma finisce per perpetuare le condizioni della sua applicazione. In Calabria a che punto siamo? Ci sono i presupposti per il ritorno ad una gestione ordinaria?
«Direi che il primo presupposto nella costruzione della way out dal commissariamento sia stato intuito e realizzato dal presidente Occhiuto quando ha preteso che la funzione commissariale si ricongiungesse con quella di presidente della Regione. In questo modo ha fatto sì che le responsabilità commissariali nei confronti del governo per l’equilibrio economico del sistema sanitario convivessero nella stessa figura chiamata a rispondere attraverso l’erogazione dei servizi sanitari alla domanda di salute da parte dei cittadini calabresi. È da qui che parte il disegno della strada che porta fuori dal commissariamento ed è da questo punto che inizia il ripensamento della struttura istituzionale di governo della sanità, del quale Azienda Zero è l’esempio più emblematico ma non il solo, insieme al graduale innalzamento del tasso tecnico del management strategico del sistema con l’avvio della trasformazione delle figure commissariali in quelle di direttori generali. Tutto questo aggiunto a un metodo di lavoro definito per priorità, obiettivi, strumenti e tempi. Gli elementi che maggiormente mancavano al sistema. Non si possono fare previsione certe sull’uscita dal tunnel commissariale, ma ora la luce si vede».

Come detto, lei ha lasciato la Calabria ma adesso ha deciso di tornare. Nel suo caso, quando ha accettato l’incarico quali motivazioni l’hanno spinta a farlo? E quali sono dal suo punto di vista le motivazioni che spingono tanti altri a non farlo? Quali leve azionare per favorire una “migrazione” al contrario?
«La risposta a quest’ultima domanda e quindi anche a quella che mi riguarda è tanto semplice nell’esposizione quanto difficile nell’attuazione e si chiama credibilità, delle persone e del sistema nel suo complesso. Nei momenti finali della scelta di fronte alla quale mi sono trovato tra l’incarico in Calabria e quello al San Martino in Liguria, terra che come tutti i migranti non smetterò mai di considerare come casa, ho fatto un’ultima telefonata di pochi minuti al presidente Occhiuto ponendogli due domande: se intendeva veramente realizzare le cose delle quali avevamo parlato e se mi avrebbe dato gli strumenti per realizzarle. Se quindi riusciremo a esprimere altrettanta credibilità, come singoli e come istituzioni, e soprattutto a confermarla nei fatti giorno per giorno, sono certo che riacquisiremo la voglia dei tanti calabresi che oggi producono valore clinico, scientifico e reputazionale nei laboratori di ricerca e nelle corsie di altre strutture sanitarie in altri territori».

Spesso la Calabria, e non solo nel settore sanitario, viene percepita all’esterno come una regione inadempiente, incapace di spendere le risorse pubbliche, di organizzare servizi in maniera adeguata per i cittadini. Secondo lei, quanto di questo fa parte di una cattiva narrazione e, quindi, di un pregiudizio? Quanto ha pesato e quanto ancora continua a pesare in termini di credibilità e autorevolezza, ad esempio, a Roma? È possibile offrire una nuova immagine della Calabria e a quali condizioni?  
«Non è solo questione di percezione, l’inadeguatezza del nostro sistema, anche se non nella misura in cui a volte viene rappresentata, è una realtà che negare vorrebbe dire perpetuare. Anche qui bisogna avere chiaro che questa percezione si combatte dando dimostrazione della capacità di essere in grado di risolvere da sé i propri problemi. Realizzare fatti, concreti, oggettivi, misurabili, che possano iniziare a raccontare una Calabria “altra” anche in sanità rispetto a quella costruita nell’immaginario collettivo con gli errori commessi in passato».