La diagnosi è di quelle che, per fortuna, non desta troppa preoccupazione, tonsille ipertrofiche, eppure per una famiglia calabrese un'operazione quasi di routine si è trasformata in un vero e proprio calvario. Siamo nel Tirreno cosentino, una striscia di terra di oltre cento chilometri dove dall'agosto del 2019 non è più possibile partorire e, a quanto pare, nemmeno respirare con regolarità, mentre da dieci anni la politica continua a speculare sul finto potenziamento di due ospedali fotocopia che si contendono i reparti a colpi di proclami e lo Stato non riesce ad attivare un ospedale di frontiera che non c'entra nulla con il risanamento dei debiti e, anzi, continua a generare emigrazione sanitaria e morti. «Abbiamo deciso di raccontare la nostra storia - ci dicono i protagonisti di questa controversa vicenda - nella speranza che qualcuno si metta una mano sulla coscienza».

I fatti

Giuseppe (nome di fantasia, ndr), ha 14 anni e da bambino si sottopone ad alcune visite mediche per tenere sotto controllo le tonsille, che ogni tanto si ingrossano a causa della patologia di cui soffre. Di recente, la situazione è degenerata e il ragazzino ha manifestato evidenti problemi respiratori. «Niente panico - hanno assicurato i dottori alla famiglia - con un'operazione chirurgica il problema può essere risolto». Fin qui tutto bene, ma poi si è dovuto passare dalle parole ai fatti ed è sorto il primo ostacolo. Alla famiglia viene consigliato di rivolgersi a una nota clinica privata della costa, considerata un'eccellenza proprio per il trattamento e le cure delle tonsille ipertrofiche. «Ma poi ci hanno detto che la struttura non ha il reparto di Rianimazione e io non me la sono sentita di far operare mio figlio lì - dice la madre del ragazzo -. I medici mi dicono che sia un'operazione di routine, ma se per caso dovesse esserci qualche complicanza, che cosa accadrebbe?». Di conseguenza, la famiglia opta per l'ospedale Annunziata di Cosenza, che pure sembra garantire ottime cure per patologia. «Abbiamo fatto tutto l'iter, abbiamo prenotato l'intervento, ma non ci hanno ancora chiamato nemmeno per la visita preventiva - precisano i due coniugi -. Così abbiamo chiesto lumi a un dottore, il quale ci ha spiegato che le liste d'attesa sono molto lunghe». Come per un qualsiasi esame diagnostico.

Liste d'attesa infinite

La mamma e il papà di Giuseppe sono affranti, ma non si arrendono. «Ci sarà un'altra struttura in Calabria che può operare un ragazzino con le tonsille ipertrofiche?», si chiedono i due. Così provano a domandare agli addetti ai lavori, ma nessuno sa dove e come indirizzarli. Se c'è un ospedale calabrese in cui Giuseppe potrebbe operarsi, nessuno lo sa, e comunque i tempi di attesa rimangono lunghi in tutta la regione. «Ci siamo sentiti disorientati, abbandonati, senza una guida. Alla preoccupazione per la salute di nostro figlio, si è aggiunta quella di non sapere come aiutarlo».

Al Gaslini di Genova basta una telefonata

Mamma e papà fanno un giro di telefonate tra gli amici. Tra di loro c'è una donna con una bimba piccola, da poco operata all'ospedale Gaslini di Genova. «Ci ha detto che si era trovata bene, che i medici sono straordinari e che la figlia adesso sta benissimo». Senza perdere tempo, la famiglia di Giuseppe si mette in contatto con la struttura sanitaria ligure. Dall'altro capo del telefono hanno già una data disponibile per la visita, ma tanta è la celerità che i due genitori sono spiazzati. Non sono pronti, devono prima organizzare il viaggio. Nessun problema, al Gaslini lasciano libertà di scelta: «Per metà ottobre va benissimo». Prenotazione effettuata in una manciata di minuti.

La rabbia della famiglia

Se da un lato la famiglia di Giuseppe si sente sollevata, dall'altra comincia a sentire il peso dell'angoscia in vista dell'operazione, che potrebbe avvenire già qualche giorno dopo la visita con il primario. «Dove staremo? Come faremo ad affrontare le spese? E come faremo con l'altro nostro figlio più piccolo?». La testa di mamma e papà è un turbinio di pensieri e domande. «Ma com'è possibile che una famiglia venga lasciata sola in questo modo? Perché dobbiamo fare i viaggi della speranza al nord quando abbiamo tanti ospedali in Calabria?». Per prima cosa, il papà di Giuseppe è costretto a chiedere il permesso al suo datore di lavoro, alla luce di tutte le incertezze che presenta la situazione. «È una persona estremamente sensibile e umana - afferma la donna - e ci ha detto di prenderci tutto il tempo che ci serve. Siamo stati fortunati, altrimenti a quest'ora correremmo anche il rischio di perdere la nostra unica fonte di sostentamento». E sarebbe stato un bel guaio, perché mai come adesso avere la sicurezza di uno stipendio per loro è fondamentale. Ad esempio, i medici liguri hanno chiesto espressamente alla famigliola calabrese di trovare una sistemazione a non più di quindici minuti dall'ospedale. Con tutta probabilità, durante i giorni della degenza la loro casa sarà una stanza di un b&b. «Poi dobbiamo calcolare i soldi per il viaggio, per il cibo, per gli spostamenti e sperare che tutto vada per il verso giusto». Insomma, se vivi in Calabria un'operazione di routine può diventare un dramma e mettere in crisi la serenità di un intero nucleo famigliare.

Domande senza risposta

I genitori di Giuseppe hanno voluto rendere pubblica questa storia per provare a smuovere le acque e denunciare ad alta voce, e una volta di più, un sistema sanitario che fa acqua da tutte le parti. «Noi siamo fortunati - dicono mamma e papà -, la patologia di nostro figlio non è grave e noi siamo certi che questo brutto momento passerà in fretta. Ma ci mettiamo nei panni di quei genitori costretti a curare i figli, magari con patologie più serie, lontano dalla loro casa e dai loro affetti, senza aiuti di nessun genere. Ci chiediamo: in queste condizioni, quante famiglie sono costrette a rinunciare alle cure?». Chissà. Forse a questa domanda la politica potrà rispondere dopo l'inaugurazione del Ponte sullo Stretto.