«La diffidiamo a voler disporre la riapertura del Punto di Primo Intervento in virtù del grave disagio e pericolo per la salute che la decisione della sua chiusura ha arrecato all’intero bacino d’utenza, valutato che, non solo in situazioni di gravità, ma anche nell’ipotesi di una semplice sutura, si rende necessario raggiungere il Pronto Soccorso del GOM di Reggio Calabria che si trova a circa 30 km di distanza da Scilla (ma i km da raggiungere da chi proviene dai paesi pre-aspromontani sono anche 40/50). Inoltre, si segnala che a causa delle numerosissime richieste di intervento, al P.S. del GOM, i tempi di attesa possono anche superare le 10 ore».

Si parte dall’emergenza per poi estendere le richieste. Questa la prima delle richieste presenti nella diffida che il comitato pro casa della salute di Scilla ha depositato e indirizzato al commissario regionale della sanità Roberto Occhiuto e alla commissaria dell’Asp di Reggio Calabria Lucia di Furia. Il comitato è tornato a manifestare il proprio dissenso proprio di fronte a quella struttura, lo Scillesi d’America, che i cittadini stanno tentando di difendere a tutti i costi.

La diffida

Ma nella diffida i termini sono chiari e non è solo l’emergenza ad essere attenzionata: «Le chiediamo di verificare la possibilità di una soluzione per l’allocazione del PPI e dei laboratori di Radiologia, anche allestendo, in tempi brevi, strutture di cura temporanee (mobili), come si è spesso realizzato in tutto il mondo in momenti di emergenza (vedi covid), da allestire nelle adiacenze della Casa della Salute, che è dotata anche di un vasto giardino e parcheggio».

Alle richieste si aggiunge «per l'ennesima volta un incontro al fine di esporre le nostre perplessità e proposte e conoscere quali sono i programmi dell’Ente nel breve, medio e lungo termine, riguardanti le opere finalizzate al ripristino dell’immobile».

Si erano detti pronti ad adire alle vie legali e lo hanno fatto sobbarcandosi anche ulteriori spese pur di non cedere e lasciare che la scure della demolizione possa abbattersi sull’ormai ex ospedale. E lo hanno fatto «per conto dei cittadini di Scilla e dell’intero comprensorio ricadente nella competenza della struttura sanitaria scillese, che conta un bacino d'utenza di circa 50 mila abitanti, al fine di tutelare la salute pubblica e l'attività professionale del personale che vi ha operato e di quanti ancora vi operano, chiediamo l'immediata riapertura del punto di primo intervento e dei laboratori di radiografia, ormai inattivi dal 25 settembre 2022 data in cui la struttura veniva chiusa improvvisamente. 

Si evidenzia infatti, che la messa in atto di una procedura alquanto affrettata, rischia di provocare importanti ritardi nell'attivazione dei soccorsi sanitari, specialmente in casi di eventi acuti, con gravi conseguenze sull'incolumità di tutti coloro che necessitano di cure». 

Le carenze ataviche 

E le motivazioni riportate nella diffida, che rappresenta solo il primo tassello di quella che vuole essere una battaglia di civiltà a difesa del diritto alla salute, sono chiare: «La cronica carenza di personale medico e paramedico non deve riversarsi sui malati, già severamente disagiati per la disastrosa situazione sanitaria in cui versa l'intera regione. Non è accettabile che ogni provvedimento adottato da oltre dieci anni a questa parte, risponda a logiche emergenziali che hanno penalizzato già lo Scillesi D'America (ex ospedale) e che continuano negli anni a penalizzare quel che rimane della sanità scillese, ripercuotendosi sulla tutela della salute pubblica sancita dalla Costituzione italiana».

Indagini di vulnerabilità sismica

E alle richieste si aggiunge anche una documentazione che certifichi la necessità di chiudere la struttura. Documenti già richiesti ma mai ottenuti. «Per quanto avuto modo di constatare visivamente ed in assenza di diversa prova documentale, fatta salva ogni successiva verifica che gli scriventi si riservano di effettuare con le modalità previste dalle vigenti norme, il numero di carotaggi e di estrazione dei campioni d’armatura effettuati appare essere inferiore e con tecniche che in alcuni casi denotano una certa sommarietà e un’evidente precipitazione nell’esecuzione.

Nella relazione tecnica costituente parte integrante dello stesso progetto di riconversione funzionale si afferma: «L’accertamento effettuato, presso l’organismo edilizio, ha mostrato in maniera chiara i segnali di un persistente degrado strutturale unito ad una obsolescenza impiantistica riconducibili ad anni di scarsi interventi di manutenzione ordinaria e/o straordinaria, tale che oggi è percepibile uno stato di inadeguatezza funzionale che limita l’avvio del processo di riconversione da effettuarsi dovendosi attuare corposi interventi di adeguamento impiantistico». (pag. 10) e «La valutazione della sicurezza dell’involucro edilizio sarà un’operazione molto complessa per le incertezze che andranno ad accompagnare la puntuale conoscenza del manufatto. L’assenza di ogni utile documento per la specifica trattazione, e la certezza che la struttura è stata realizzata prima del 1984, impongono l’avvio di una attenta verifica delle geometrie della struttura da accompagnarsi ad una campagna di prove, saggi, e puntuali accertamenti necessari per la successiva fase di predisposizione della progettazione preliminare.»

In primo luogo, non si può non evidenziare come gli scarsi interventi di manutenzione ordinaria e/o straordinaria siano da imputare esclusivamente alla perdurante inazione da parte della stessa Asp.

Inoltre, risulta visivamente evidente come, mentre all’esterno le strutture denotano segni di distacco degli intonaci e dei copriferri e uno stato generale di precaria conservazione (imputabile esclusivamente all’inerzia di chi era incaricato della manutenzione), fino a pochi giorni prima della chiusura, al loro interno i locali si presentavano integri, senza alcuna lesione e/o altro segno di decadimento strutturale tale da manifestare il grado di deficienza strutturale che sarebbe dimostrato dalle analisi svolte, ed che, visti i risultati, avrebbe dovuto essere più che evidente anche a un occhio poco o niente affatto esperto.

Infatti, nella relazione tecnica del progettato intervento di riconversione, in merito allo stato di fatto delle strutture viene riferito solo quanto segue: «L’esame visivo approfondito delle strutture dell’organismo, svolto non come fase di mera presa visione, ha permesso di accertare che la struttura, realizzata in cemento armato, presenta alcune fessurazioni, qualche irregolarità di distacchi nei pannelli murari e apprezzabili degradi negli elementi strutturali.Insomma, negli atti tecnici di progetto nulla viene riferito in merito alla presenza di evidenti segni di crisi strutturali che, stando al riferito esito dell’analisi di vulnerabilità svolta, avrebbero dovuto essere rimarcati».