In un momento nel quale la depressione ha preso ad essere considerata (anche) nelle reazioni che suscita in coloro che la incontrano dall’esterno, esemplare il caso dei coinquilini di Marco Bellavia al Grande Fratello Vip, la storia di Andrea – nome di fantasia – rende ancor più evidente quanto sia necessario un nuovo tipo di approccio verso problemi di salute non rilevabili da una semplice analisi strumentale. Ci sono casi dove lo stetoscopio non basta (anche se, una volta, la tachicardia di Andrea è tuonata nell’orecchio di chi lo ha visitato), dove neanche gli strumenti più evoluti possono fare qualcosa. Ci sono casi che richiedono tempi diversi rispetto a quelli di un “turno” di lavoro, casi caratterizzati da un’urgenza permanente, soprattutto di ascolto.


Andrea è un ragazzo residente sul tirreno cosentino, laborioso e costruttivo, apprezzato specialista in lavori di manutenzione, amante della natura e degli animali. Purtroppo per lui, una serie di questioni (di seguito spiegate nella lettera aperta inviata ai giornali) sono giunte a turbarne la serenità, facendolo piombare in un tunnel dentro al quale ha rischiato di perdersi. Il pericolo è stato scongiurato grazie ad un medico di base, intervenuto nel momento di massimo sconforto, quando al giovane ogni speranza era stata vanificata da consulti giunti al culmine di attese estenuanti, effettuati in presidi territoriali caratterizzati da esiguità di personale e carenze strutturali.


Non è un mistero che, sul versante più popoloso della costa, alcuni servizi siano condizionati dal risicato numero di professionisti in grado di erogarli, il ché genera situazioni per le quali, alle volte, i tempi di attesa per una visita si allargano a dismisura, con appuntamenti rinviati di continuo e file di utenti accalcati fino all’esterno dei locali. In questo contesto, ulteriormente aggravato dal “distanziamento” cui – nostro malgrado – ci ha abituati l’emergenza covid, Andrea ha rischiato seriamente di perdersi. Per questa ragione, in apertura del suo pubblico scritto, il giovane ha inteso manifestare sincera gratitudine verso il suo medico di base, che con pervicacia ha preso in cura il suo caso, indirizzandolo verso un percorso clinico dal quale, stante la testimonianza diretta del ragazzo, ha tratto immediato giovamento.

La lettera aperta di Andrea

«Con questa mia lettera intendo esprimere sincera gratitudine nei confronti di una donna, medico di base, che a fronte di un servizio sanitario ormai rigido come un apparato burocratico, si è mostrata umana e comprensiva, offrendomi uno spiraglio di luce in un momento molto buio, caratterizzato da una profonda crisi depressiva. A partire dagli scorsi mesi estivi, una serie di questioni personali e problemi di salute comparsi a funestare la tranquillità familiare, mi hanno gettato in uno stato di profondo sconforto, tale da diventare opprimente ed unico sentimento della quotidianità, aggravatosi fino ad indurmi a recarmi presso le strutture sanitarie di riferimento.


Ebbene, allorquando mi sono trovato ad affrontare il calvario dei consulti in corsia, la mia già fragile presenza presso gli ospedali dove mi sono recato, è stata spezzata e spazzata via con superficiali pareri, fatti di gocce per conciliare il sonno e consigli per una sana camminata all’aperto. Ebbene, allorquando mi sono trovato ad affrontare il calvario dei consulti in corsia, la mia già fragile presenza presso gli ospedali dove mi sono recato, è stata spezzata e spazzata via con superficiali pareri, fatti di gocce per conciliare il sonno e consigli per una sana camminata all’aperto.
Arrivato al punto di non riuscire più a sollevarmi dal letto, restando inerme a guardare il buio anche per giorni, in un raro momento di lucidità sono riuscito a contattare la dottoressa Mariella Veneruso, che immediatamente ha preso in carico il mio caso ed in pochi giorni è riuscita a stabilizzare un quadro destinato ad arrivare al punto di non ritorno. Da medico di base mi ha poi indirizzato verso la giusta trafila specialistica da affrontare, rivelatasi un percorso salvifico dove, altri camici bianchi – tra i quali ringrazio infinitamente il dott. Calabria e lo psichiatra dottor Alessandro D’Alessandro – hanno individuato le giuste contromisure da adottare.


Scrivo perché oggi sono qui a raccontarlo, perché ho avuto la fortuna di essere stato ascoltato e non liquidato con “due goccine” e un po’ di moto. Scrivo questa lettera per esprimere tutta la mia gratitudine a chi si è messo a disposizione per dare forma ad un malessere che sembrava non averne, a chi si è interessato alla mia persona ed al mio essere affetto da una patologia che troppo spesso viene derubricata a questione di poco conto, da curare con un analgesico. Purtroppo la diagnosi che mi è stata comunicata, non suggerisce questo rimedio.

Il problema per il quale ho inteso rendere pubblica la mia esperienza, consiste proprio nel muro di gomma contro al quale si va a sbattere quando i problemi di salute non sono quelli che escono dalle analisi del sangue. Ognuna delle strutture che ho visitato, è sembrata quasi fare spallucce, indirizzandomi verso soluzioni che sarebbero state soltanto inutili perdite di tempo. E il tempo, nella stragrande maggioranza dei casi simili al mio, è una variabile che gioca sempre a sfavore, e forse a tante persone che avrebbero potuto come me raccontare la loro storia, non gli è stato concesso. Sarebbe opportuno rivalutare i criteri con i quali si accoglie un paziente affetto da disturbi di natura psichica, soprattutto quelli che per la prima volta si trovano ad avere a che fare con la patologia, perché il rischio di perderli per sempre ha una percentuale molto elevata.
Grato per l’attenzione, ringrazio chiunque abbia compreso lo stato di sofferenza che mi ha indotto a richiamare l’attenzione su questa tematica».