«È nostro dovere difendere i diritti conquistati dalle donne e garantire che i servizi pubblici rimangano al servizio delle loro esigenze, senza interferenze ideologiche che potrebbero compromettere la loro libertà di scelta». Le donne democratiche non ci stanno proprio. E come loro anche tante associazioni che si sono mobilitate scrivendo direttamente al presidente Roberto Occhiuto.

In ballo c’è la salvaguardia di un «baluardo al diritto all’autodeterminazione procreativa», e il diritto alla salute nella sua accezione più pura: la legge 194 del 22 maggio 1978 - “Norme per la tutela sociale della maternità e sull'interruzione volontaria della gravidanza" – che ha sancito il diritto di accesso e le modalità del ricorso sicuro per ogni donna all'interruzione volontaria di gravidanza, sia presso le strutture pubbliche del Servizio Sanitario Nazionale, che presso le strutture convenzionate e autorizzate dalle Regioni. Legge, rafforzata nel tempo con la creazione dei consultori familiari che svolgono un ruolo fondamentale nell'assistenza alle donne che decidono di ricorrere all'Ivg, grazie alle professionalità presenti al loro interno che sono tenute ad una serie di obblighi informativi nei confronti delle stesse relativamente ai diritti ad esse riconosciuti, ai servizi sociali, sanitari e assistenziali offerti dalle strutture che operano sul territorio.

Secondo le donne democratiche questo diritto, ora, torna ad essere in pericolo. Il 23 aprile scorso il Senato ha infatti approvato un emendamento, proposto da Fratelli d'Italia e inserito nel decreto sulle misure finanziate dal Pnrr, e già passato alla Camera dei deputati, che permette alle associazioni antiabortiste di operare nei consultori familiari.

Un passo indietro per le democratiche, e non solo. «I comitati anti-abortisti nei consultori rappresentano un grave passo indietro per i diritti delle donne - ha dichiarato la portavoce regionale Teresa Esposito -. Questa norma rischia di condizionare pesantemente le scelte delle donne, compromettendo il loro diritto fondamentale di autodeterminazione».

Una presa di posizione che assume un valore anche “europeo” se si pensa che il diritto all'aborto è tornato nell'agenda politica di Bruxelles con una risoluzione del Parlamento europeo che nell'aprile scorso ha approvato con 336 voti a favore, 163 contrari e 39 astenuti, l'inserimento dell'interruzione di gravidanza nella Carta dei diritti fondamentali dell'Ue. Una risoluzione seguita alla determinazione del Senato francese che ha approvato, lo scorso marzo, una proposta di legge che inserisce nell'art. 34 della Costituzione “la libertà garantita alla donna all'interruzione di gravidanza”.

Il Governo italiano invece con l’emendamento incriminato prevede che le Regioni organizzino i servizi consultoriali nell'ambito della Missione 6, Componente 1 del Pnrr e che ci si possa avvalere “senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, anche del coinvolgimento di soggetti del Terzo settore che abbiano una qualificata esperienza nel sostegno alla maternità”.

L’obiezione ricorrente è che i soggetti in questione non sono professionisti dell'assistenza sanitaria ma volontari «ideologicamente orientati» che, attraverso un lavoro di persuasione e dissuasione, cercano di influenzare le scelte di coloro che decidono di rivolgersi ai consultori territoriali per intraprendere un percorso già di per sé difficile, ma in ogni caso al fine di accedere ad una procedura garantita per legge.

Secondo Lidia Vescio, una delle portavoce provinciali delle donne democratiche, è fondamentale che i consultori restino «luoghi sicuri e neutrali, dove le donne possano ricevere supporto e informazioni accurate senza pressioni ideologiche».

Così le democratiche di concerto con la consigliera regionale del Partito Democratico, Amalia Bruni, hanno pensato bene di mettere nero su bianco una mozione per manifestare il proprio dissenso alla legge votata dal Governo.

Barbara Panetta, un’altra portavoce provinciale, ha sottolineato l'importanza di questa mozione, attraverso la quale si chiede di prendere posizione contro la norma già votata a Montecitorio, eleggendo al contempo i servizi consultoriali quali «spazi di supporto imparziale e di tutela della salute delle donne».

Già depositata a Palazzo Campanella, proprio da Amalia Bruni, la mozione mira a sollecitare un dibattito nelle sedi competenti, a partire dalla Conferenza delle Regioni, e a chiedere alla Regione Calabria di non esercitare la facoltà prevista dal decreto per quanto riguarda i servizi consultoriali, ma anche ad a introdurre ogni azione utile e decisa, anche garantendo una eguale presenza nei presidi ospedalieri e nelle strutture pubbliche calabresi di medici non obiettori di coscienza, per assicurare un accesso tempestivo e senza ostacoli all'interruzione volontaria della gravidanza.

Con l’auspicio che si possa aprire un percorso di confronto con le associazioni firmatarie del documento «al fine di condividere lo stato e la programmazione governativa nell’ambito dell’accesso alla salute riproduttiva delle donne sul territorio, con particolare riferimento ai consultori e ai presidi ospedalieri».