Il racconto di una 53enne, partita dalla Sibaritide e ricoverata nel reparto di Nefrologia dell'Annunziata dopo quattro giorni in Pronto soccorso: «I medici sono bravi, ma operano in condizioni pietose»
Tutti gli articoli di Sanità
PHOTO
A Caterina non manca l’ironia. E nemmeno sarcasmo classico di chi soffre da sempre per una patologia cronica come l’insufficienza renale. Pone critici interrogativi e si interroga sulle eterne ed enormi contraddizioni della sanità calabrese, tra eccellenze – quelle mediche – e vergognose carenze – come quelle infrastrutturali.
Ogni giorno combatte contro la sua malattia, anche grazie ad un pregresso trapianto, eseguito 28 anni fa. Adesso è in attesa ed in lista per un nuovo rene, ma le difficoltà non mancano.
Caterina è un nome di fantasia, ma ha 53 anni e vive nella Sibaritide. Non vuole rivelare il suo vero nome per evitare malintesi che potrebbero costare caro in ambienti che camminano sul filo di un rasoio.
Le sue esperienze sono ai confini della realtà. Una realtà fatta di medici bravissimi e ed altri meno, di strutture eccellenti e «magazzini per la legna» dove vengono curati pazienti che potrebbero morire a causa di una banale infezione.
Nei mesi scorsi – a ottobre – ha prenotato un ecocuore da esibire nella certificazione per il trapianto: appuntamento fissato dopo oltre un anno, nel 2025. Troppo tempo, anche per lei, perché quell’esame diagnostico, effettuato – come vedremo – d’urgenza nelle scorse settimane, avrebbe potuto farle saltare il suo turno.
Per fortuna, verrebbe da dire, una febbre molto alta per giorni l’ha costretta al ricovero – anche quello un calvario – in cui quell’ecocuore è stato eseguito d’urgenza. Lo esibirà – sempre per fortuna – in quella documentazione, quando sarà chiamata al Gemelli di Roma per la visita di routine. Ma se avesse atteso la tempistica scandita dal servizio sanitario calabrese, probabilmente, avrebbe perso il suo treno.
Lo strazio di un ricovero
A LaC News24, Caterina racconta la sua Via Crucis. Riferisce di essere in lista d’attesa a Reggio Calabria e Cosenza e di combattere ogni giorno con la dialisi. «Per continuare a sperare in un nuovo trapianto, due mesi fa ho prenotato un ecocuore come da prassi ma sono stata rinviata al 2025. Forse troppo per una persona nelle mie condizioni cliniche che deve effettuare controlli, che soffre di versamenti pleurici».
Qualche settimana fa – prosegue – «sono stata male e per questo l’iter per il trapianto ha subìto un rallentamento, ma spero che chiameranno per la visita a Roma con l’anno nuovo. Per “fortuna”, però, sono stata ricoverata e così quell’ecocuore di controllo lo hanno eseguito all’ospedale di Cosenza».
Nelle settimane scorse Caterina accusa febbre alta per quattro giorni. La sorella decide di intervenire e l’accompagna al pronto soccorso dell’ospedale di Cosenza.
«Lì – dice – è iniziato il calvario. Ho trascorso altri quattro giorni in astanteria, in attesa di un ricovero in nefrologia che sembrava non arrivasse mai. In quei quattro giorni ho passato e visto l’inferno con i miei occhi. I quattro giorni peggiori della mia vita, e non perché non siano bravi i medici, ma perché non ce la facevano. Tre medici in servizio al pronto soccorso non possono occuparsi di cinquanta, sessanta pazienti alla volta, è umanamente impossibile. Non voglio parlare male dei medici, perché si sono prodigati tantissimo, anche se le pecore nere ci sono come quegli infermieri che rispondevano malissimo alle mie domande su quando avessi dovuto assumere l’antibiotico… tipo “ma secondo te stiamo qui a pensare al tuo antibiotico?”. Ma c’era anche chi si prodigava con grande passione».
Dopo 96 lunghissime ore di pronto soccorso, ecco “spalancarsi” le porte della nefrologia dell’Annunziata. «Credetemi, ai medici tanto di cappello, ma quel reparto non è degno nemmeno di un magazzino per la legna. Umanamente impossibile da vivere. Una donna ricoverata – prosegue Caterina con grande schiettezza – non può stare in una stanza dove non c’è il bidet e ti devi lavare nel lavandino, per giunta con la sola acqua fredda, gelata. Chiederei al signor Occhiuto (il presidente della Regione e commissario ad acta alla sanità, ndr), se tutto questo è normale. Nei giorni successivi gli infermieri si sono accordi di quel disagio e mi hanno riscaldato l’acqua in un bollitore! Poi per tre giorni sono stata trasferita in chirurgia vascolare e mi è sembrato di passare da un magazzino ad un hotel a cinque stelle, in un reparto all’avanguardia. Anche queste differenze, non credo siano troppo normali».
Quattro giorni in Pronto soccorso
Quel ricovero in nefrologia, a Caterina è “costato” dover chiedere aiuto, com’è tristemente “normale” che sia alle nostre latitudini, in cui un diritto è scambiato per un “favore”. «Credetemi, in quelle ore infermali non sapevo a quale santo votarmi, ma poi ho chiamato Francesco», aggiunge.
Caterina si riferisce a Francesco Sapia, ex senatore del M5s di Corigliano, profondo conoscitore della malattia con la quale ha convissuto per tanti anni, fino al trapianto. Della vicenda si è interessato anche lui.
La 53enne continua a rivelare altri dettagli della sua “visita” all’Annunziata. «Probabilmente avrei prolungato per chissà quanti altri giorni ad occupare una brandina in quel pronto soccorso in cui non fanno entrare i parenti. Se ce la fai a prenderti cura di te stessa, a lavarti, bene, altrimenti rimani come sei, a distanza di giorni. Per me era impossibile stare in piedi con la febbre a 40 e vivere quei giorni senza un’assistenza», sottolinea. «Tutto questo – insiste – non è normale, anche e soprattutto per quei vecchietti accantonati in un angolo senza l’assistenza di un parente…».
«In preda alla disperazione – spiega ancora – ho chiamato Francesco la mattina del quarto giorno in pronto soccorso. Poi alle 14 mi hanno ricoverata in nefrologia dove sono stata per dieci giorni. Permettetemi, ci tengo a ringraziare medici ed infermieri di quel reparto, ma sono costretti a lavorare in un magazzino per la legna, ed in una struttura che non gli consente di operare come vorrebbero».
La dialisi a Lungro
Solitamente, nella quotidianità, Caterina si reca all’ospedale di Lungro per la dialisi. Ma anche lì le insidie non mancano. «A Lungro, dove mi trovo benissimo, medici ed infermieri sono davvero eccezionali, riversano una cura ed una dedizione unica nel loro lavoro. Ma anche loro compiono i salti mortali. Oggi eravamo dodici a fare la dialisi, con soli quattro infermieri in servizio. E devi sempre sperare che tutto proceda per il verso giusto perché se mi sentissi male e lo stesso accadesse ad uno dei miei due compagni di stanza, uno dei tre non ce la farebbe… Un infermiere non può seguire tre dializzati. Non oso immaginare cosa potrà accadere in questi giorni di festa, con le ferie dei sanitari alle porte… Non ci voglio nemmeno pensare».
Insomma, per mutuare una domanda che Caterina spesso si è posta nel raccontare la sua storia, bisognerebbe davvero chiedersi se tutto questo è normale…