È incredulo e sconcertato Raffaele Gramendola, dializzato di 85anni che la Croce rossa di Vibo Valentia ha lasciato a piedi dopo la sospensione del servizio di trasporto gratuito. Dall'11 agosto è infatti in vigore una nuova convenzione sottoscritta con l'Asp di Vibo Valentia che limita il servizio alle persone con gravi patologie, non deambulanti che versano in stato di gravità. «Ma anch'io sono grave!», ribatte l'uomo da un anno e mezzo in dialisi. Tre volte a settimana da Bivona, frazione di Vibo Valentia, deve raggiungere l'ospedale di Vibo Valentia per la terapia.

Secondo le nuove disposizioni, Raffaele è autonomo, dunque in grado di raggiungere l'ospedale con mezzi propri. Ma lui non ha un mezzo proprio con il quale raggiungere l'ospedale. Non ha neppure i figli che risiedono fuori città. È solo. «Ieri mi ha accompagnato un vicino di casa, ma deve rientrare a lavoro dalle ferie e non è più disponibile».

L'unica soluzione è l'autobus. «Mia figlia mi ha detto di prendere il mezzo pubblico, ma se dovessi sentirmi male durante il tragitto?», si domanda preoccupato. «Non sono il solo a vivere questo disagio. Altri pazienti usufruivano del servizio. Non credo che tutti i dializzati abbiano la possibilità di farsi accompagnare in ospedale tre volte a settimana e di attendere 4 ore», dice rammaricato.

La terapia a cui deve sottoporsi non è una scelta, ma una trattamento salva vita. «Ai pazienti più gravi il servizio viene assicurato. Mi devo aggravare per essere accompagnato? Devo morire?».

Un caso sollevato dalla nipote che in una lettera accorata inviata alla nostra redazione si è detta preoccupata per il nonno: «Come si può annullare un servizio così importante lasciando a piedi i pazienti con problematiche così gravi?», e ancora: «Chi darà supporto a tutti questi malati che ad oggi si ritrovano scoperti di trasporto? Abbiamo contattato vari enti con esito negativo», dice la donna. «Chiedo aiuto a nome di mio nonno ma anche a nome di tutte quelle persone che non sanno come raggiungere l’ospedale per effettuare una terapia salva vita».