VIDEO | La 62enne si è affidata all'equipe di Oncologia dell'ospedale del Basso Ionio, dove è stata accolta con amore e dedizione: «Se non fosse stato per loro, sarei morta se non di malattia di depressione»
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«C'era chi mi diceva vai a Milano, a Roma, a Napoli. Io ho detto no, se una cosa deve andare bene va, medici sono qui e medici sono lì. E posso dire che qui ho trovato veramente degli angeli, persone umane che ti trattano come se fossi una di famiglia». Caterina Elia ha scelto di essere curata nella sua terra, a pochi passi da casa. La 62enne pochi anni fa scopre di avere un brutto male e da quel momento trova la giusta assistenza nel reparto di Oncologia dell'ospedale di Soverato guidato dalla dottoressa Rita Marino affiancata dalle infermiere Francesca e Patrizia Roso.
Una storia di buona sanità
«Non riuscivo a mangiare, non riuscivo ad andare in bagno – racconta – pensavo che questo fosse dovuto all'ernia iatale fino a quando un medico a me molto caro, il dottore Paolo Ficchì, del Pronto soccorso, ha scoperto, dopo una serie di esami, che avevo un tumore all'intestino, però partiva tutto dal seno. I miei tumori maligni si formano al seno e poi scendono agli organi». Una diagnosi che stravolge quindi la vita di Caterina che però riesce ad fronteggiare grazie al supporto dell'equipe del presidio del Basso Ionio. «Alcune volte, quando devo venire a fare l'emocromo o la terapia non ho voglia di alzarmi dal letto perché mi scoraggio e dico a me stessa “che vado a fare, ormai sono tre anni che combatto e questi linfonodi crescono sempre”. Poi arrivo qua e si trasforma tutto, leggendo il sorriso che mi accoglie sul volto del personale, la dottoressa Marino che mi chiama “zia Rina”. Lei anche quando è stanca non lo dimostra mai ed è sempre disponibile, io la disturbo anche la domenica e lei risponde sempre».
Emozioni oltre le cure
Dunque affrontare al meglio la malattia grazie alle emozioni è quello che succede nel reparto soveratese dove i trattamenti contro il cancro diventano sfide psicologiche significative che è possibile affrontare. «Io ho un figlio di 25 anni che ad aprile si è laureato. Ha ritenuto opportuno menzionare, nel ringraziamento della tesi, la dottoressa Marino e le due infermiere, i miei due angeli dell'oncologia perché se non fosse stato per loro io non sarei morta di malattia ma di depressione», conclude con le lacrime agli occhi.