Gli studi di Enrico Iaccino, un giovane ricercatore dell’Università di Catanzaro fanno notizia, raggiungendo un certo interesse nazionale. Iaccino ha infatti sviluppato un metodo per individuare un segnale che indichi precisamente la presenza di un tumore specifico, il linfoma a grandi cellule B. Una metodologia, questa, che potrebbe assumere una particolare rilevanza nella lotta al cancro.

Ma chi è questo giovane ricercatore? Lo abbiamo chiesto allo stesso Iaccino. 
«Sono nato a Cosenza e per quasi vent’anni ho abitato con i miei genitori, tra le colline di in un piccolo e meraviglioso borgo calabrese, Cervicati. Maturità classica presso il “Candela” di San Marco Argentano e poi università. La passione per la ricerca, il dottorato e dopo due anni di esperienza all’estero - UCL di Londra - il rientro in Calabria con la ferma convinzione che, a dispetto dei tanti che indicano nell’emigrazione l’unica via per l’eccellenza, crede che studiare, impegnarsi e fare ricerca in un piccolo ateneo del Sud sia non solo possibile ma necessario. Lo dobbiamo alla terra che ci ha nutrito, lo dobbiamo ai nostri padri e alle nostre madri, lo dobbiamo a noi stessi».

Gli studi di Iaccino ambiscono allo sviluppo di metodi non invasivi per individuare la presenza di un tumore e a monitorarne la risposta alle terapie. A che punto siamo?
«Da qualche anno ho concentrato i miei studi su una particolare classe di vescicole prodotte da tutte le cellule del nostro organismo e riversate in molti fluidi biologici, in primis nel sangue. La mia idea è quella di riuscire a identificare quelle sottopopolazioni di vescicole prodotte dal tumore, decifrare il messaggio molecolare contenuto in esse e in base a queste preziosissime informazioni conoscere la “salute” del tumore andando, potenzialmente, a scoprirne i punti deboli».

Individuare presto le cellule tumorali significa intervenire subito, curare, accelerare la guarigione. Ecco perché è importante capire se stiamo facendo passi in avanti su questo punto...
«Abbiamo fatto passi enormi e, non lo dico a mo’ di spot pubblicitario, credo che davvero siamo ad un passo dal punto di svolta. La genomica, la medicina di precisione, e più in generale l’enorme sviluppo tecnologico avuto negli ultimi vent’anni, ha aperto scenari insperati fino a poco tempo fa: alcuni tumori che un tempo erano una condanna a morte ora sono diventati controllabili e, ogni anno in percentuali sempre maggiori, curabili. La svolta non è più solo vicina, è in corso».

Il lavoro suo e del suo gruppo di ricerca è stato sostenuto dall’UMG...
«L’UMG favorisce da sempre un rapporto di reale condivisione e confronto tra studenti, ricercatori, professori delle materie di base e cliniche: credo che non ci sia niente di meglio per favorire la crescita culturale e scientifica di un ragazzo prima, di un uomo di scienza poi. In questo contesto non posso che ringraziare ancora una volta il mio ateneo. Per quanto riguarda lo specifico del progetto, è stato finanziato da un piccolo budget che ogni anno la Gilead mette a disposizione per la realizzazione di idee ancora in fase embrionale e che hanno bisogno solo di essere “messe a terra”».

È di poche settimane la notizia che i vaccini anticancro stanno funzionando. Una speranza. L’obiettivo immediato è creare vaccini che distruggano le cellule tumorali...
«La risposta a questa considerazione è strettamente legata al concetto di medicina di precisione a cui accennavo in precedenza. Per rendere la risposta più facilmente fruibile a tutti, questi “vaccini” si utilizzano per stimolare una risposta immunitaria contro un bersaglio ben preciso. Un po' come è stato per i vaccini anti-Covid, i vaccini terapeutici cercano di innescare una risposta immunitaria contro una proteina caratterizzante le cellule tumorali (antigene tumorale) e assente nelle cellule sane. In questo modo il sistema immunitario indirizza la propria risposta in maniera specifica verso il tumore e non colpendo tutto il resto».

Alcuni scienziati stanno testando anche vaccini che potrebbero prevenire lo sviluppo del cancro...
«Mentre prima parlavamo di vaccini terapeutici, per rispondere a questa domanda dobbiamo tornare a parlare di vaccino nella sua accezione classica e cioè quale strumento per prevenire una malattia. Vaccini che vanno a prevenire l’insorgenza di alcuni tumori sono più legati alla conoscenza di un agente eziologico (spesso un virus) che causa la degenerazione neoplastica: a questa classe appartengono alcuni farmaci già disponibili diretti verso il tumore della cervice uterina (causato dal virus HPV) e il tumore del fegato (causato anche dal virus dell'epatite B). Anche in questo campo la ricerca è in forte fermento e nel breve-medio periodo ci potrebbero essere altre belle sorprese».

Recentemente la sua attività di ricerca è finita sotto i riflettori di Repubblica che gli ha dedicato un lusinghiero articolo. Troppo spesso tanti come lui fanno un lavoro duro, in silenzio, con poche risorse. Ma quanto sarebbe importante sostenere con più forti più convenzioni più mezzi questo lavoro. Eppure così non è...
«È vero, nei giorni scorsi i miei studi sono stati inaspettatamente attenzionati da un lusinghiero articolo de La Repubblica. Non posso nascondere un certo imbarazzo, ma quello che spero è la storia raccontata, la mia storia, possa essere da spunto per mettere in atto azioni concrete volte a favorire quella “messa a terra” di idee di cui parlavo prima: i laboratori delle nostre università, anche e soprattutto nel nostro Sud, sono fucine di idee che meritano di essere messe in circolo e contribuire a quella spinta di innovazione sostenibile che può fare della Calabria un luogo dove non solo restare, ma anche attrarre. Anche a fare ricerca».