Alle aziende non basta pubblicare ogni trovata utile a reclutare personale, la Calabria non è attrattiva. All’Asp di Cosenza il bando per reclutare cinque ginecologi (quattro le domande presentate) va deserto (ASCOLTA L'AUDIO)
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C’è poco da fare, la Calabria continua ad essere l’ultimo luogo al mondo in cui verrebbe a lavorare un medico. Se non a gettone. O da Cuba. È questo oggi il grande corto circuito che sta facendo esplodere il deficitario sistema sanitario regionale.
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La dicotomia che si sta aprendo nella professione medica, un tempo sacra e di certo non essenzialmente vocata al dio denaro è paradossale: a gettone, lautamente super pagato, sì; di ruolo dopo aver vinto un concorso, no.
Tanto potrebbe bastare per provare a rivedere le regole “gioco” ed iniziare a pensare ad una riforma seria, partendo dal numero chiuso, poiché è la facoltà di medicina in sé a selezionare naturalmente. Il sistema andrebbe rivisto da cima a fondo, ed anche le belle parole proferite giornalmente della politica sanitaria – a cui ormai nessuno crede più – servono a nulla.
La carenza di medici ormai cronica e atavica sta spingendo le Aziende sanitarie provinciali e ospedaliere calabresi – dopo anni di tagli e spending review che non hanno sortito gli effetti auspicati – a pubblicare ogni sorta di trovata utile a reclutare personale, ma senza successo. Perché, in fondo, è meglio lavorare da gettonista a 80 euro l’ora, per un minimo di cinquecento euro al giorno se si copre un solo turno (ma non manca chi ne assicura due) così da guadagnare almeno 10mila euro al mese, che intascarne “appena” 3.500 da dirigente medico ospedaliero.
Il ragionamento di alcuni medici è semplice: perché andare a lavorare per tre in un reparto perennemente a corto di personale, a livelli di stress inauditi, quando pur senza contributi e garanzie sindacali si può guadagnare almeno il triplo, il quadruplo, il quintuplo?
Le toppe non tappano
Ed anche quando le Asp si trovano costrette a contattare direttamente i professionisti per tappare le falle nei reparti che perdono pezzi improvvisamente, per i motivi più svariati (malattie, trasferimenti, concorsi vinti altrove, quiescenze, licenziamenti per approdare nel privato dove si guadagna di più), quindi si tenta il tutto per tutto per evitare repentine chiusure, si sentono rispondere cose esorbitanti. Quali? «Vengo, ma a patto che mi paghiate 150 euro l’ora», oppure «…che mi offriate mille euro – ma anche due o tre - a notte».
E così le aziende pubbliche rimangono sotto scacco mentre ai concorsi non si presenta nessuno.
Il paradosso cosentino
È accaduto nelle scorse ore all’Asp di Cosenza. Al concorso per cinque ginecologi bandito a fine 2022, tra i quattro che si erano iscritti – e nemmeno numericamente sufficienti a “colmare” i posti – non si è presentato nessuno.
La settimana prossima toccherà ai radiologi. In quel caso di domande ne sono pervenute una decina. Basteranno per assumerne qualcuno?
Amara Calabria
Capita, è capitato e capiterà ancora. La Calabria continua a non essere attrattiva. I giovani medici, magari neo laureati o neo specializzati, anche calabresi, tutto farebbero tranne che venire a lavorare nel pubblico della nostra regione. Basterebbe parlare con qualcuno di loro per rendersi conto della situazione. A domanda rispondono con altri interrogativi, questa stavolta a carattere retorico. Perché un medico calabrese dovrebbe lasciare la “quiete” – per esempio – dell’emergenza-urgenza di Lucca piuttosto che Cernusco sul Naviglio, Melzo, Portogruaro, Modena o Perugia e catapultarsi in realtà in cui si lavora per tre, l’elettrocardiografo è rotto, si rischia di essere colpiti dai calcinacci o, peggio, dagli schiaffi dei pazienti esausti da giornate di attesa al pronto soccorso?
Insomma, nulla di nuovo sotto il solleone calabrese.