Di diabete si può anche morire. E si può passare la vita in malo modo. Il dramma è che il numero delle persone con diabete è raddoppiato negli ultimi trent’anni. E nel Sud la situazione è anche peggiore. La Calabria soffre molto. Di questi dati allarmanti nel parliamo con Francesco Andreozzi, professore Ordinario di Medicina Interna all'Università degli Studi di Catanzaro “Magna Graecia”.

Un caffè amaro col prof

Un caffè rigorosamente amaro con il professore. E il discorso finisce inevitabilmente sul diabete. Del resto in Italia vivono circa 4 milioni di persone con il diabete e ogni anno ci sono circa 350mila nuove diagnosi. Tutto questo comporta costi elevatissimi. Ma l’impressione è che la pandemia-diabete non riceva tutte le attenzioni che merita. E nemmeno gli investimenti necessari.
Il professore affronta il tema da un preciso punto di vista: «Anche se da larga parte della popolazione l’assistenza alla patologia diabetica viene percepita come non adeguata, l’Italia si piazza tra le prime nazioni a livello mondiale nella qualità dell’assistenza diabetologica. Il problema è che ancora assistiamo ad una disparità di modelli organizzativi gestionali sul scala nazionale».

Modelli innovativi ovunque ma... non qui

Comunque il Covid ha certamente peggiorato la situazione.  «La pandemia Covid ha contribuito a velocizzare modelli assistenziali innovativi (ad esempio la Telemedicina e il Teleconsulto) che in alcuni territori viaggiano a gonfie vele, mentre in altri, come quello calabrese, ancora stenta a raggiungere la massima efficienza. Abbiamo ampie possibilità di miglioramento e anche in Calabria segni di miglioramento, seppur piccoli, si apprezzano. È necessario investire molto di più per portare in maniera omogenea e allo stesso livello le cure e l’assistenza, incentivando una migliore collaborazione tra territorio, medicina generale e università».

Un divario tra la Calabria e il Trentino

Approfitto del caffè con il professore per approfondire alcuni dati: l’aumento della popolazione con diabete si riscontra in tutte le Regioni d’Italia. Ma ci sono oltre 15 punti percentuali di distanza tra Bolzano e la Calabria, dove la quota di anziani con diabete supera il 25 % e il tasso di mortalità per diabete è superiore alla media nazionale.
«La patologia diabetica continua ad avere un trend in crescita e ciò deve far preoccupare considerato quanto incide in termini di costi di cura per le complicanze ad essa associate. Se consideriamo che l’età media dei pazienti con diabete si aggira intorno ai 66 anni e che la diffusione maggiore è nelle regioni del sud è evidente che le ragioni della diffusione vanno ricercate non solo nelle abitudini alimentari e nella poca propensione all’attività fisica ma anche alle differenze socio economiche a cui assistiamo tra sud e nord Italia come bassa istruzione e reddito. Infatti reddito basso corrisponde, spesso, all’accesso a cibi di bassa qualità ed ad alto contenuto calorico ma scarso valore nutritivo che incidono negativamente sul peso e quindi maggior rischio di diabete. Uno sforzo maggiore andrebbe fatto anche in questo senso».

I dati sulla mortalità preoccupano

Nel ragionamento colpiscono i dati  riguardanti la mortalità: le regioni del Sud hanno dati peggiori rispetto a quelle del Nord. «Un dato più che preoccupante, ovviamente. Il soggetto diabetico è esposto ad un rischio cardiovascolare più alto (ictus e infarto del miocardio, in particolare) rispetto ad un soggetto non diabetico. Forse la centralizzazione delle cure in pochi ospedali nel territorio calabrese, a scapito di altri soppressi o ridotti, può aver portato dei benefici in termini di spesa sanitaria pubblica ma d’altro canto ha allungato i tempi di attesa per una visita e gli effetti sono per questo inevitabili ed evidenti».

Il ragionamento porta comunque ad evidenziare come il modello italiano di cura del diabete sia effettivamente uno dei più efficienti. E c’è da aggiungere che sono stati fatti notevoli progressi negli ultimi anni nella lotta al diabete. «Negli ultimi anni la ricerca di base e quella clinica hanno dato un grande apporto alle terapie per la cura del diabete. Le grandi ditte farmaceutiche hanno sviluppato farmaci in grado di tenere sotto controllo la malattia senza esporre il paziente a rischi di variazioni glicemiche dannose, in particolare il rischio di ipoglicemie».

Con il professore concordiamo sul fatto che le nuove tecnologie possano aiutarci in questa battaglia. «Certamente sì. Lo sviluppo di tecnologie e dell’intelligenza artificiale ha dato una grossa mano sia al paziente che al medico che gestisce la terapia. Oggi il medico può controllare l'andamento della glicemia anche a distanza e suggerire al paziente le correzioni terapeutiche da fare».

Il professor Andreozzi, dal 2022 presidente della Società italiana di Diabetologia, sezione Calabria, presidente Sid Calabria, sa benissimo che la diffusione del diabete è quasi raddoppiata in trent’anni (coinvolgeva il 2,9% della popolazione nel 1980). Magari dipende dall’invecchiamento della popolazione. O forse da cattive abitudini alimentari. «In molti Paesi europei si invecchia bene da sempre, quindi dire che la vecchiaia “fa male” non è corretto. Sicuramente una vita sana aiuta a prevenire la malattia diabetica, ma questo vale anche per altre patologie. Come solitamente suggerisco ai nostri pazienti, basterebbe fare un check-up della propria salute periodicamente, almeno una volta l’anno, mangiare in maniera attenta e fare attività fisica. Non è l’elisir di lunga vita ma sicuramente è un buon inizio!»

C'è speranza?

E alla fine la speranza è una: sarà finalmente sconfitto il diabete? Miglioreranno le condizioni di vita dei diabetici? Ce lo chiediamo da sempre.
«Sconfiggere il diabete non è cosa semplice, la genetica familiare incide molto sulla sua insorgenza, ma ritardare o evitare che si manifesti è possibile. Spesso accade che un paziente diabetico nasconda il proprio stato patologico perché costretto a fare terapia anche a pranzo o a cena con amici e parenti e questo depone negativamente sia da un punto di vista psico-sociale, si tende ad isolarsi, sia in termini di aderenza alla terapia, si tende a non farla in maniera adeguata o a non farla del tutto».

Mangiare troppo e male certamente è pericoloso. «Ci sono pazienti che mangiano di tutto anche sapendo di non poterlo fare! Si sta facendo molto per migliorare l’aderenza del paziente alla terapia, penso ad esempio a farmaci che possono essere somministrati settimanalmente piuttosto che quotidianamente. Alcuni di questi già in commercio altri ancora no, ma prossimi! Ovviamente non dobbiamo dimenticare le tecnologie che oggi abbiamo a disposizione. Un piccolo sensore applicato alla cute del paziente, lontano da occhi indiscreti degli altri, evita la necessità di glicemie capillari quotidiane, Ma attenzione, ciò non può comunque sostituire i benefici di una dieta sana e dell’attività fisica che hanno sempre un ruolo prioritario».